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cucina
di Maura Bregante | 03 Ottobre 2011 | in categoria/e cucina
Ricette antiche: amarcord del gusto tra casöllî, ballëtî, patelle, bagnun, giuggiole e perfino fiori di glicine
Sta per partire la rubrica ‘Lo chef del mese'
La partecipazione è gratuita ed è rivolta a cuochi non professionisti
Se ami cucinare chiamaci allo 0185.938009
Puoi diventare protagonista!
Quante volte ho ascoltato mia nonna mentre mi raccontava quanto erano gustose le patelle crude appena staccate dagli scogli di Renà ed i cornetti piccoli oggi molto rari da vedere. Certo allora il mare era senz’altro più pulito di oggi! Le patelle venivano anche consumate in padella cotte con un filo d’olio, oppure venivano utilizzate per condire la pasta. Un tempo pescare i bianchetti era molto più semplice di oggi; questi pesciolini argentei popolavano numerosi il nostro mare; erano molto richiesti ed apprezzati, come ora del resto! Oggi come allora venivano consumati bolliti conditi con limone ed olio, o cucinati come frittelle con la pastella d’uovo. Un’attività molto florida per i rivani era l’importazione del vino dall’isola d’Elba attraverso la tipica imbarcazione del luogo: il leudo. Cosa conservavano i marinai sul leudo durante i loro viaggi in mare? A raccontarlo è una filastrocca in dialetto scritta da Antonio Giovanni Bo: pesto, salsa di pomodoro, pepe, sale, cannella, olio, cipolle, aglio, patate, fagioli secchi, stoccafisso, baccalà, farina, riso e spaghetti, gallette, formaggio sardo, formaggetta e ovviamente il vino; insomma non sarebbero certo morti di fame! Alla tradizione marinaresca, al leudo, si lega anche il piatto tipico del Bagnun. Quando nel 1960 Edoardo Bo presidente della locale Croce Rossa Italiana e del Comitato Cittadino Manifestazioni Rivane escogitò la “Sagra della Galletta o del Bagnun” (in foto), voleva condividere con i turisti e i giovani del paese lo spirito della tradizione marinara locale. Il Bagnun voleva inoltre celebrare Riva come calanca marinara dai bianchi velieri, terra di comandanti di mare, naviganti e pescatori. E’ una zuppa di pesce a base di acciughe soffritte, salsa di pomodoro e gallette. Non solo piatti a base di pesce; i casöllî prepatati da molte anziane del posto (non è nota la traduzione italiana) erano preparati con il ripieno impastato con pane, uova, un po’ di formaggio e cotti in padella con un cucchiaio di salsa di pomodoro. Le castagne nell’entroterra venivano consumate pelate cioè bollite senza il guscio e spesso mangiate nel latte al mattino. Quando venivano bollite con la buccia prendevano il nome di ballëtî. Più famose invece le caldarroste vendute tutt’oggi da ambulanti nei mesi autunnali. La farina di castagne era utilizzata per la preparazione del castagnaccio o veniva anche mescolata alla farina bianca per la preparazione del pane. L’autunno era la stagione delle giuggiole, frutti piccoli somiglianti alle olive, molto apprezzate e facili da trovare. I corbezzoli, piccoli frutti rossi tipici della macchia mediterranea, si trovano ancora oggi nei pressi di Punta Baffe; hanno un sapore esageratamente dolciastro. Le punte delle piante dei rovi quando erano tenere, venivano pulite e sgranocchiate dai ragazzi curiosi di allora. Anche le erbe venivano consumate crude dopo esser state pulite, e persino la parte bianca interna ai fiori di glicine. Alcuni ricordano i racconti dei loro anziani che in tempi davvero remoti, quando la fame era opprimente, cucinavano addirittura le alghe, una specie particolare chiamate “ortiche di mare”. Molti i crostacei attaccati agli scogli, oggi ricordati con strani nomi dialettali, che non si trovano più a causa forse dell’inquinamento. Di loro resta solo il racconto delle persone che un tempo sapevano come cucinarli…
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Tratto da CORFOLE! del 10/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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