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edizione cartacea
06 Agosto 2024 | in categoria/e edizione cartacea
La Chiavari degli ortolani - Di quando c'erano gli orti e una volta l'anno mio padre tornava prima dai campi per vestirsi a festa e portare in processione la nostra Madonna
Dicembre 1958: ultimo orto in Chiavari, coltivato dall'ortolano Giovanni Bellagamba ed esteso da via Nino Bixio a Corso de Michiel, ma già destinato dai proprietari alla vendita come area fabbricabile, come attesta il cartello
- di Maria Rosa Bellagamba
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Bello, alto, portamento eretto, serio e sereno al tempo stesso, tutto dedito solo alla famiglia e al lavoro. Credo fosse così obiettivamente, ma di certo tale appariva mio papà ai miei occhi di bambina, ancor di più la sera del 2 luglio perchè lui che faceva l'ortolano, l'ultimo nella città di Chiavari, quella sera rientrava a casa per la cena molto prima del solito (i contadini, si sa, cenano tardi per lavorare nelle ore fresche dei lunghi pomeriggi estivi) e si dedicava alla cura della sua persona: barba, capelli, camicia bianca a righini fini, come poche altre volte durante l'anno. Da giorni in famiglia si attendevano quelle ore in cui sacro e profano si fondevano in un'atmosfera di festosa religiosità per onorare la Santa Patrona della città, venerata con il titolo di Maria Santissima dell'orto. La nonna era andata alla novena tutti i giorni di buon mattino, una zia aveva tagliato e cucito il vestitino nuovo per me e per la mia sorellina, l'altra zia si industriava a cucinare in orario la cena in cui non potevano mancare i primi pomodori maturi della stagione raccolti nell'orto, due giorni prima noi bambine avevamo partecipato all'offerta dei fiori alla Madonna (rigorosamete gladioli bianchi o rosa) e la mamma ci avrebbe portate alla processione.
L’orgoglio degli ortolani
Il momento più eccitante e persino commovente era quello in cui io e la mia sorellina riuscivamo a intravvedere e riconoscere, tra gli ortolani che avevano l'onore e il diritto di portare la cassa della Madonna dell'orto, nostro padre che, se a sua volta ci vedeva, scambiava con noi un sorriso furtivo. Gli ortolani portantini credo fossero in tutto 18, otto per ogni turno più due con la funzone di regiêu (guida). Erano tutti vestiti di bianco (e lo sono tuttora) e portavano al collo un fazzoletto celeste annodato davanti. Uomini giovani, forti, abituati alla fatica, si prestavano con una devozione schiva e anche con orgoglio a portare la cassa della Madonna dell'orto che pare sia particolarmente pesante.
Foto scattata il giorno in cui l'arca della Madonna veniva esposta in cattedrale per la novena e i festeggiamenti dopo un breve percorso sulla piazza antistante, sempre portata a braccia dagli ortolani vestiti in borghese
Negli ultimi anni mio padre ha avuto anche il privilegio (ma cui ricordo che preferiva “camallare”) di indossare u cappin du regiêu, una specie di coprispalla di damasco che distingueva i due decani che avevano il compito, uno davanti alla cassa e uno dietro, di guidare il gruppo degli ortolani, dare il via, controllare la direzione e decidere le soste e i cambi.
Le soste, tra spirito di... vino
Una sosta obbligatoria e penso gradita era in Carrugio presso l'armeria della famiglia Lanata che offriva un bicchiere di vino ai portantini, segno di riconoscenza e occasione di ristoro.
Un'altra sosta era presso la chiesa delle Clarisse: la cassa con il quadro di Maria entrava da una porta della chiesetta e usciva dall'altra dopo aver sostato alcuni minuti perchè le suore di clausura, al di là delle grate, potessero salutare la Madonna con la loro preghiera.
Foto ricordo sotto il pronao della cattedrale (presumibilmente anno 1943). La signora potrebbe essere a Scia Ravenna, benefattrice
Che bella l’atmosfera delle feste de lûggiu
Lungo il percorso della processione lumini accesi sui balconi, drappi di broccato alle finestre, ali di innumerevoli fedeli di Chiavari, di Lavagna e dell’entroterra... e la cattedrale illuminata da decine di lampadari a bracci: li chiamavamo brancole e sono convinta di averne contati ottanta (da alcuni anni non più esposti a causa di lavori di restauro che è stato possibile eseguire solo in parte e al momento sospesi). Dopo il panegirico del Vescovo e lo spettacolo dei fuochi pirotecnici (per me unica occasione durante l'anno di andare a dormire quasi a mezzanotte e di conseguenza svegliarmi la mattina seguente quasi a mezzogiorno!) le feste de lûggiu potevano dirsi concluse.
Ma l'eco rimaneva ancora vivo: io cercavo in tutti i modi di riprodurre con il disegno i fuochi d'artificio, ma non ero mai soddisfatta delle mie produzioni perchè chi poteva dare l'effetto luce con le matite di legno colorate di cui disponevamo allora? Mica esistevano i pennarelli glitterati... E i grandi? Per giorni tornavano a discutere dell'andamento della processione: guai se si fosse streppà, divisa in due tronconi o se la cassa avesse appena accennato un movimento a zig zag o, peggio ancora, se avesse rischiato di sfiorare un cavo teso in aria. Bei tempi, quando le occasioni di festa erano rare, ma quelle poche erano attese, vissute e ricordate con viva emozione. Come faccio qui, ancora oggi con questo scritto per Corfole.
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