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attualita, salute
Una malattia sterminò 1 milione di persone: cura inascoltata per secoli perché “troppo facile” - Cosa c'entrano cavoli e limoni?
di Michela De Rosa
Durante la circumnavigazione del globo compiuta da Ferdinando Magellano tra il 1519 e il 1522, ben l’80% dell’equipaggio morì di questa strana malattia che fu nominata peste grigia, che provoca sintomi psicotici, dimagrimento, debolezza, occhi infossati, emorragie, ma soprattutto il ritirarsi delle gengive e la caduta dei denti.
Nel 1535, quella che oggi è Quebec City in Canada, si chiamava Stadacona ed era un villaggio della tribù degli Irochesi. A settembre vi approdarono tre velieri francesi. Presto arriva il gelo e la terra si trasforma in una distesa ghiacciata. Seppur provvisti di cibo, in tre mesi muoiono 25 marinai e gli altri ci vanno vicini. Gli indiani offrono il loro rimedio per affrontare i lunghi inverni: un infuso di acqua calda (non bollente) a base di corteccia e foglie di una conifera da bere in abbondanza, ogni giorno. I marinai guariscono, ma non capiscono perché e da cosa.
Arriviamo al 1763: la «guerra dei sette anni» si conclude con una strage: su 184.899 uomini imbarcati, 1512 morirono in battaglia e 133.708 di malattie, principalmente di peste grigia.
Tre anni dopo, il 17 febbraio 1770 l’Oriflama, un brigantino con 628 tonnellate di beni di lusso destinati al viceré del Perù, salpa dalla Spagna insieme a una nave scorta, il Gallardo. Dopo una tempesta, si perdono di vista. Dopo due mesi l’Oriflama riappare alla deriva. A bordo, uno scenario da incubo: 106 sopravvissuti, dei quali solo 30 appena in grado di parlare e troppo deboli per manovrare una nave. Peste grigia. Un’altra tempesta trascina il brigantino tra le onde. Sarà ritrovato nel 2008, sepolto sotto la sabbia a 300 chilometri da Valparaíso, in Cile, davanti al ristorante che da allora porta il suo nome.
La cura c’era da tempo...
Quella malattia continuò a uccidere marinai, truppe, mercenari, passeggeri e schiavi dieci volte di più che tempeste, battaglie, arrembaggi, peste, tifo, vaiolo e colera, tutti messi insieme. Nessuno capisce a cosa sia dovuta, così si provano “cure” di ogni genere: purghe, clisteri o bicchieri di acqua di mare, sorsate di aceto, di acido solforico diluito, ma anche punizioni o uccisione “dell’indemoniato”. Eppure, il 1° agosto 1601, Sir James Lancaster annotava sul suo rapporto di bordo, che dopo quattro mesi di navigazione nelle tre navi al seguito era comparsa la peste grigia, ma non nella sua. Però non è un medico e la cura viene considerata stravagante: tre semplici cucchiai al giorno di succo limone.
La sua scoperta resta inascoltata per secoli, finché nel 1747, l’ufficiale Medico di bordo James Woodall Lind consulta i trattati disponibili, tra cui il rapporto di Lancaster sui benefici dei limoni. Si imbarca su una nave dove sono presenti malati e avvia una sperimentazione: dopo averli isolati dall’equipaggio, a quattro di loro somministra abbondanti dosi giornaliere di cedro, arancia e limone, mentre gli altri vengono curati con i metodi “tradizionali”. In soli sei giorni, i marinai a cui è stata data la cura “alternativa” a base di agrumi tornano al lavoro e fanno da infermieri alle altre «cavie», che invece peggiorano nonostante le cure. Sei anni dopo, Lind scrive un trattato nel quale estende gli effetti benefici degli agrumi alle «verdure verdi e fresche e i frutti maturi», sollecitando l’inclusione almeno di un limone al giorno nella dieta dei marinai. Ben presto tutte le navi oceaniche ebbero a bordo una grossa scorta di questi alimenti, che permettevano di poter fare viaggi di molte settimane senza toccare terra. Nei decenni successivi lo scorbuto continua a martoriare i marinai. Tranne quelli che seguono il navigatore britannico James Cook nei suoi tre giri del mondo compiuti tra il 1768 e il 1779, coprendo in 12 anni 300.000 chilometri, la distanza tra la Terra e la Luna. Cook, che ha letto Lind, fa frequenti rifornimenti di verdura e frutta fresca. Nessun marinaio muore di scorbuto in quei 12 anni. Dopo attente osservazioni, nel 1795 il commissario generale per «le malattie e le ferite a bordo» ordina che ogni giorno i marinai abbiamo una dose di succo di limone fresco. Ma, scoperto il loro utilizzo, i Paesi del Mediterraneo li trasformano in merce pregiata. Allora gli inglesi passano al lime, meno ricco di vitamina C ma abbondante nelle colonie tropicali, fruttando agli inglesi il soprannome di limey.
Nessuna maledizione divina: la causa era nel cibo
La “malattia del marinaio” si rivelò quindi una “carenza di vitamina C”, causata sia dal fatto che viene neutralizzzata dalla cottura e quindi esiste solo negli alimenti freschi e crudi, sia dal fatto che le scorte presenti nel nostro organismo, se non ri-alimentate si esauriscono rapidamente. Oggi quella malattia si chiama scorbuto ed era nota già agli antichi Egizi ed anche Ippocrate, il grande medico greco che visse cinquecento anni prima di Cristo. Tuttavia, non venne considerata finché cominciò ad essere protagonista della vita di mare.
Oggi sappiamo che tutti questi problemi sono causati dalla carenza di acido ascorbico, la vitamina C, fondamentale per la nostra salute, come peraltro reso evidente dalla pandemia covid, resa possibile proprio anche dalle nostre croniche carenze di Vitamine C e D. Oltre a difenderci dai virus che possono colpire l’apparato respiratorio e gastro-intestinale, la vitamina C ottimizza la produzione di collagene, per questo è importante per chi deve mantenere in forma le articolazioni perché fa molta attività fisica o perché è in là con gli anni. Infine, aiuta a contrastare gli effetti dei radicali liberi, quindi mantiene giovani.
E cosa c’entra il tè degli indiani? In seguito si scoprì che 100 grammi di foglie di quella e altre conifere contengono circa 50 milligrammi di vitamina C. La dose quotidiana consigliata è di 45 milligrammi. In questo modo potevano sopravvivere ai lunghi inverni senza cibi freschi.
Questa storia ci mette di fronte non solo al fatto che una cura non deve essere complicata e costosa per funzionare, ma anche a quanto sottovalutiamo le Vitamine, per poi magari ricorrere a medicine per curare i disturbi dati dalla carenza. Quindi, visto che è stagione, oltre alle spremute di agrumi, LEGGETE QUI e scoprite come usare tutto ma proprio tutto del cavolo, meglio ancora crudo!
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