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edizione cartacea, storia locale
di Antonino Di Bella | 07 Febbraio 2019 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
I balli in maschera al Cantero, “u rebello e a rebelluna”, il “carrosezzu” e tutte le stranezze dei baccanali nei nostri paesi
Per i Latini era il carnem levare ("eliminare la carne") perché dopo il martedì grasso iniziava, implacabile e magra, la quaresima. Per noi gente del 2000 il carnevale non è altro che l’ennesimo motivo per divertirci. Ci fa da Cicerone per questo viaggio nelle feste baccanali Capitan Spaventa, maschera ufficiale di Genova. Per l’esattezza il nome completo è Capitan Spaventa di Valli di Inferna e la sua figura è tratta dalla commedia dell’arte tra il ‘500 e il ‘600. Dopo molti anni sono arrivati anche Baciccia della Radiccia e il suo fidato amico Barudda.
U Rebellu e A Rebellunna,
i Carri di viareggio e il Mago Zurlì
A Chiavari le maschere tipiche sono i Rebelli più precisamente U Rebellu e A Rebellunna, personaggi con il volto nascosto dai cheussi (le zucche a fiasco). Oltre che a carnevale fanno la loro uscita anche per O Confeugo nella domenica che precede il Natale rispettando così la tradizionale consuetudine di fare gli auguri (in modo satirico) al sindaco. Ma tornando al Carnevale Chiavarese degli anni ‘50 e ’60, il tempio per eccellenza era il Teatro Cantero. Qui tolte le poltrone dalla platea e lasciato lo spazio ai ballerini si aprivano le danze. In alto le famiglie più in vista della città osservavano lo spettacolo dai loro palchetti privati dove abbondavano dolci, coriandoli e scherzi di ogni tipo! Balli fino alla mattina e poi la conclusione la domenica dopo con la pentolaccia.
Accompagnava tutto il periodo la rivista Carnevaleide, giornale gemello dell’estiva Balnearia, che con battute, commenti e disegni canzonatori prendevano di mira situazioni e le persone conosciute della città.
Per un lasso di tempo si erano visti anche i carri allegorici in stile Viareggio. Speciale poi fu quell’anno che la festa per i bambini fu presentata dal mitico Mago Zurlì (al secolo Cino Tortorella) che arrivava direttamente dallo Zecchino d’Oro assieme a Richetto, il suo aiutante pasticcione. Poi anni difficili con meno voglia di festeggiare ma pur sempre contraddistinti dalla pentolaccia, dal veglione e i momenti canzonatori. Negli anni ‘80 tornano le feste in piazza riversavando dalle zone periferiche, sempre ricche di inventiva, carri e plotoni di maschere. Dalla vicina Lavagna arrivava la folcloristica Banda du Garian, attiva già negli anni ’30, contraddistinta dal fatto che ognuno dei musicanti nel periodo carnevalizio portava uno strumento particolare che prendeva forma dalla fantasia del suonatore: pentole, piatti, tamburi e trombette oltre naturalmente agli strumenti classici. La morte del Re Carnevale concludeva il periodo delle risa e conduceva alla Quaresima.
Il carnevale della zucca
Spostandoci nel Golfo Paradiso, Recco accoglieva i turisti e i personaggi in maschera con la sfilata del Carrossezzu, i carri allegorici, mentre a Camogli la festa si svolgeva sulla passeggiata. A Moneglia o come viene descritta dai borghi vicini “il paese della zucca” si svolge appunto l’originale “Carnevale della zucca”. L’idea scaturisce da aneddoti popolari riguardanti una disputa sorta in tempi ormai lontani tra due contadini ai quali, proprio sul confine tra i loro due poderi, era germogliata una pianta di zucca. La cucurbitacea incurante del gergo che la definisce "pianta che cammina" andò a fermarsi lì proprio sul confine diventando quindi l’"oggetto del contendere". Su quanto durò e come andò a finire la contesa, la fantasia popolare si sbizzarrì dando vita a varie versioni. Non c’ era quindi località del Tigullio che si esentasse dall’organizzare feste mascherate fossero al coperto come (tanto per fare alcuni nomi) al Covo di Santa, alla Capannuccia di Chiavari, al Circolo Virgola a Sestri o al mitico Dancing Giardino Universale di Lavagna o all’aperto sperando nella bontà del tempo.
Si lanciava cenere sui "foresti"!
La stessa voglia di mascherarsi la troviamo nel nostro entroterra, a Ferrada di Moconesi ci si ritrovava al dancing Settebello negli anni ’70 ma in tutte le località piccole e grandi si svolgevano da sempre feste mascherate. Mia madre raccontava che per chi passasse dal Monte S. Giacomo scendendo per Cogorno ci si poteva imbattere in ragazzi che per festeggiare “i foresti” si divertivano a lanciare cenere ai malcapitati. Questi magari si rifacevano facendo mangiare i coriandoli agli avversari quando si incontravano alle feste successive. Altri tempi!
Le maschere per raccontare l'Italia
Carnevale fu però anche un momento culturale: la scuola svolse, soprattutto dagli anni ’60 in poi, oltre al suo ruolo educativo anche una funzione formativa verso le altre realtà regionali. E proprio ciò fece conoscere ai bambini le maschere delle altre zone d’ Italia. Ecco comparire quindi bambine vestite da Colombina e bimbi abbigliati da Arlecchino o Pulcinella. Ma anche figure meno conosciute come il dottor Balanzone, Brighella o la Cecca donna lombarda. Anche le recite scolastiche diedero supporto alla conoscenza delle altre maschere. A me toccò recitare la brevissima poesia per descrivere quella del Piemonte. A distanza di quasi 50 anni la ricordo bene: «son Gianduja Torinese son con tutti assai cortese» anche qui… davvero altri tempi! Cos’altro aggiungere quindi se non dire «che la festa del Re Carnevale cominci!»
I commenti dei lettori
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