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edizione cartacea, storia locale
di Simone Parma | 09 Ottobre 2018 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
"Quando facevamo i migranti in crociera": il racconto di Sergio Lagomarsino, panettiere giramondo
«Il governo di Londra organizzava delle vere e proprie traversate complete di tutto. Facevamo tappa in ogni luogo in cui i migranti erano stati assegnati. Le nazionalità erano le più varie: inglesi, italiani, tedeschi, olandesi e così via».
Le storie dei marinai sono sempre ricche di avventure, misteri e pericoli. Quelle di Sergio Lagomarsino (in foto) non fanno eccezione, anche se a vederlo ora mentre cura il suo orto, non si direbbe che i suoi occhi abbiano visto tutto il mondo e incrociato la morte sulle rotte delle navi su cui era imbarcato.
“Scrissi una lettera al Presidente Nixon”
Negli anni sessanta le possibilità di lavoro in Italia erano pressoché infinite, ma non mancava chi sognava qualcosa di più che un semplice posto in fabbrica. Sergio era tra quelli: «Avevo questo desiderio di andare in America per fare fortuna. Così, a quindici anni, presi carta e penna e scrissi direttamente al Presidente Nixon. Con mia grande sorpresa la risposta arrivò per davvero, ma non era affatto buona: ci volevano cinquemila dollari e un sacco di burocrazia per poter tentare l’avventura, così decisi di rinunciare».
Una rinuncia solo temporanea, perché quando le sirene del mondo chiamano resistergli è quasi impossibile: dopo solo un anno il nostro Sergio era imbarcato come garzone panettiere sulle navi in partenza dal porto inglese di Southampton.
«A sedici anni partire da Borzonasca per l’Inghilterra, da solo e senza esperienze in mare, fu un bel salto. Ma lavorare sulle navi che facevano rotta verso le Americhe era il modo più semplice per ottenere il visto di ingresso negli USA ed ero deciso a provarci».
Sergio insieme ad un collega prima di salpare
Le difficoltà furono chiare sin dal primo momento: «La vita dei marinai non era semplice e solamente trovare la mia cuccetta fu un’impresa, seguita poi dall’accoglienza non proprio amichevole dell'equipaggio. Il capo dei panettieri, un italiano che sapeva delle mie origini genovesi, appena arrivai mi disse “Se ti chiami Garibaldi non lavorerai mai con me!”». Per sua fortuna non era così e Sergio potè intraprendere il suo viaggio alla volta delle Americhe. Scoprì poi che sulla Fairsky, nave della compagnia italiana Sitmar, i passeggeri non erano passeggeri qualunque.
Le “crociere per migranti”
La Sitmar era infatti stata incaricata dal governo britannico di trasportare i migranti in cerca di nuove opportunità di lavoro nelle varie colonie inglesi: «Il governo di Londra organizzava delle vere e proprie traversate complete di tutto. Facevamo tappa in ogni luogo in cui i migranti erano stati assegnati. Le nazionalità erano le più varie: inglesi, italiani, tedeschi, olandesi e così via».
Tuttavia venire a contatto con i passeggeri era cosa ardua, un po’ per le difficoltà di comunicazione, un po’ perché solo il personale di sala era ammesso ai ponti comuni, ma ogni tanto qualche occasione si presentava: «Capitava che i migranti organizzassero feste sul ponte principale, in cui addirittura si tiravano torte e uova. Non dimenticherò mai quella volta che il capo cameriere finì dirittamente in piscina, fu da non credere!».
Oltre a far baldoria i passeggeri del Fairsky avevano un obbiettivo ben preciso: «Tutti avevano un progetto. Soprattutto in Australia il governo ti aiutava con sovvenzioni e contributi nell’apertura di nuove attività nelle zone in cui mancavano determinate attività». E questa opportunità non sfuggì alle orecchie di Sergio, pronto a cercare di trovare una nuova strada di vita.
Un articolo che racconta l’emigrazione di massa degli italiani in Australia negli anni ‘50 e ‘60 che li ha portati ad essere la seconda comunità dello Stato.
O sposo o disertore
«In una delle prime crociere conobbi una ragazza australiana e nonostante facessimo un po’ di fatica a capirci scattò la scintilla e ci innamorammo». Lei era di Perth e dall’amore si passò subito al progetto di vita: aprire insieme una nuova attività grazie agli aiuti del governo inglese. «Avevamo deciso di sposarci, tutto era quasi definito, ma sul più bello arrivò la chiamata dell’esercito. Non potevo non presentarmi altrimenti c’era il rischio che venissi classificato come disertore e di lì a poco la distanza ci costrinse a interrompere la relazione».
Uno stop forzato dai viaggi, di nuovo il sogno di una vita nuova che si infrange, ma Sergio non molla. Una volta finita “la naia” si imbarca di nuovo, ma questa volta su navi di crociere negli Stati Uniti, con il compito di fare pane e pizza per i passeggeri: «Conobbi una ragazza Tahitiana con cui ritrovai l’amore. Comunicavamo a gesti, ma eravamo giovani ed era bello così. Per lei rischiai persino di perdere la nave che stava salpando, ma fui recuperato e per fortuna me la cavai con una ramanzina del capitano».
Le tempeste, faccia a faccia con la morte
Se le storie d’amore erano complicate, non da meno erano il lavoro e le traversate: «Quando facevamo rotta verso l’Australia passavamo sotto Città del Capo, dove burrasche forza 9 sferzavano a tal punto che neppure gli oblò riuscivano a resistere. La nave sembrava un ramoscello e una raffica staccò lo scalandrone (la passerella che serviva per far salire i passeggeri sulla nave, ndr). Per andarlo a recuperare il nostromo uscì sul ponte. Non fece più ritorno. Aveva solo quarantadue anni. Rimasi molto colpito da quell’incidente, che però non fu l’unico».
Il pericolo non viene solo dal mare, ma anche dall’uomo: «Per attraversare il Canale di Panama era consuetudine che fosse un pilota del porto a prendere il comando della nave. Solo che quel giorno aveva alzato il gomito un po’ troppo e ci fece incagliare pericolosamente. Fummo costretti a chiamare un rimorchiatore per riuscire ad attraversare lo stretto e fortunatamente ce la cavammo con poco».
Immagini di repertorio: una nave mentre attraversa il Canale di Panama
Tra le meraviglie del mondo e qualche brutta sorpresa…
Le avventure vissute da di Sergio continuano sulla terraferma: quando la nave era saldamente ancorata al porto l'equipaggio andava ad esplorare quei luoghi così diversi da quelli di origine. «Ogni volta che sbarcavamo c’era qualche avventura ad attenderci: passeggiare tra i pappagalli di Ensenada, che sono i più grandi al mondo, l’incontro ravvicinato con l’iguana, mangiare i dolci che le ragazze di una missione cattolica avevano preparato per noi, ammirare il teatro di Sidney in costruzione, mangiare molluschi e gamberoni freschi sulle spiagge del Messico inseguiti dalle pinze dei granchi reali... momenti che non dimenticherò mai».
Surf alle Hawaii negli anni ‘60
L’Opera House di Sydney in costruzione
Certo non era tutto rose e fiori, perché il mondo dei marinai, come abbiamo visto è sempre ricco di insidie: «In Australia fui scambiato per un trafficante da due agenti della polizia che mi hanno sbattuto sul cofano e perquisito. Non sapendo l’inglese ci misi un po’ a farmi capire, ma alla fine ci riuscii e i poliziotti per scusarsi mi offrirono addirittura da bere!».
“Poi l’America l’ho trovata, ma non dove pensavo”
Tornato a terra ha avuto un negozio di alimentari e panetteria a Caperana, poi ha lavorato nella ditta di carpenteria dei fratelli fino alla pensione. Ma le avventure di Sergio sono così tante che il pensiero di scrivere un libro lo solletica da tempo: «anche perché alla fine l’America l’ha trovata per davvero, tra gli affetti della mia famiglia a Borzonasca».
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