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edizione cartacea, storia locale
di Simone Parma | 03 Settembre 2018 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
Le gare, le voci e la “bagascetta”: alla scoperta dei segreti dei Tralalêro (GUARDA IL VIDEO!)
La secolare tradizione canterina continua a vivere a Traso, dove tra le cornici di lambrino e del buon vino ancora si ritrovano le voci della Val Bisagno
Ci sono ancora gli sgabelli originali, riverniciati ma con addosso tutti i segni del tempo, c’è il lambrino (NDR la fascia in legno che ricopre i muri dell’osteria) lungo tutte le pareti, c’è il vino buono e le torte fatte in casa. Ma soprattutto ci sono le foto di tutte le squadre di canto genovesi per le quali era d’obbligo sostare qui e, se siete fortunati, potreste vedere la sala principale prendere vita come ai tempi d’oro, grazie ai canti della squadra dei di Bargagli. Benvenuti all’Osteria “da u Valle” di Traso, uno degli ultimi baluardi della vita del diciannovesimo secolo e uno degli ultimi locali in cui prosegue la tradizione. La passione per il “Bel canto genovese” arriva all’osteria negli anni ’50 grazie alla passione di Valentino Criteri, marito di Giuliana Cevasco la cui famiglia gestiva l’osteria da inizio secolo.
«La sua allegria e il suo amore per la musica – ricordano Mauro e Maura, i figli che tutt’oggi gestiscono l’osteria, e la nipote Patrizia – portarono una ventata di freschezza a Traso. Valentino aveva molti amici, di professione era camionista, ma anche il baritono della “Squadra di Canto di Bargagli”, una delle prime squadre del territorio, insieme a quella di Traso, nate spontaneamente tra i ragazzi dell’epoca». Ogni sera, dopo il lavoro, frotte di ragazzi si radunavano a cantare fino a notte fonda. L’osteria così nel tempo diventò un vero e proprio punto di riferimento non solo per la comunità, ma per tutti i canterini del genovesato. Si dice che “non esiste canterino genovese che non vi sia passato almeno una volta!”.
Tutti uomini a cantare, ma c’è sempre la “bagascetta”
Alan Lomax, uno dei più famosi produttori e musicologi statunitensi, lo definì “Il più perfetto canto corale dell’ Europa occidentale”. Il tralalêro però non è canto fine a sé stesso. Per viverne fino in fondo il vero spirito bisogna partecipare ad uno dei ritrovi delle squadre, gustare un po’ di vino buono, fare due chiacchere e poi mettersi all’ascolto. E così abbiamo fatto anche noi, in un tranquillo pomeriggio estivo. All’osteria c’è la squadra di Bargagli, ancora oggi attiva. Giorgio Gennaro, che nella vita è il comandante della Polizia Municipale, ci spiega quali sono le caratteristiche del tralalêro genovese che lo rendono così speciale: «Le squadre di canto sono una peculiarità ligure. In nessun’altra parte del mondo infatti si possono trovare complessi con le stesse caratteristiche. Non ci sono ovviamente strumenti, né spartiti, mancano le voci femminili e tutte hanno la medesima composizione: tre voci tra cui un contralto detto “bagascetta” perché canta in falsetto, un tenore e un baritono, affiancati dalla “voce chitarra” (NDR uno dei baritoni emette un suono simile alla chitarra) e da cinque bassi. Cosa non meno importante: si canta in cerchio e mai verso la platea». L’unico strumento che viene utilizzato dalla squadra è il “corista” che ha lo scopo di “accordare” le voci e dare il tono alla canzone che sta per iniziare. Giorgio tiene molto a quello della loro squadra perché originale dei primi del ‘900.
Il “mercato dei canterini” e le sfide all’ultima nota
A Genova esistevano diverse squadre, ognuna delle quali aveva una propria canzone, un proprio presidente che finanziava trasferte e cene e, proprio come nel calcio, le voci migliori venivano contese dalle squadre migliori. «Molti presidenti aiutavano le loro voci a trovare lavoro, anche assumendoli direttamente – ci racconta il Maestro Enzo Piccardo, venuto da Genova apposta per cantare con la squadra – e alcune squadre come Sturla e Quarto dei Mille avevano ottime disponibilità economiche».
Succedeva poi che, come in un vero campionato, le squadre si confrontassero ai “convegni”, raduni cittadini dove ogni maestro portava la sua squadra ad esibirsi. «C’erano dei pezzi obbligatori, tra cui la partenza – spiega Armando Cevasco, vera istituzione da queste parti e tenore da più di sessant’anni – e un pezzo d’autore, come ad esempio “Madunina”, che ogni squadra interpretava con il proprio arrangiamento. Al termine della sfida i giudici, che solitamente erano maestri, proclamavano la squadra vincitrice».
Chi non riusciva ad entrare a far parte di una squadra, o perché non abbastanza pronto o perché poco presente agli allenamenti che si tenevano una volta alla settimana, poteva comunque cantare negli “Arrecogeiti”, squadre improvvisate che si divertivano a cantare dopo una cena insieme o ritrovandosi nei vicoli di Genova.
Entrare in una squadra infatti non è mai stato semplice, soprattutto perchè i canterini sono molto scrupolosi nel rispetto delle regole non scritte e la dedizione dei canterini deve essere massima: «Oltre alla voce buona, ci vogliono orecchio, passione e voglia di partecipare alle prove del martedì. Inoltra bisogna essere uomini…».
Le donne, come da tradizione, non sono mai entrate a far parte delle squadre in via ufficiale, anche se spesso di uniscono ai canti: «Molto probabilmente questo deriva dall’origine marinaresca delle prime squadre, che si formarono a bordo dei mercantili, dove la presenza femminile era assolutamente vietata».
Tralalêro: e festa sia!
Dopo tante spiegazioni la squadra non sta più nella pelle e ci regala un’esibizione. Riunita in cerchio la Squadra di Bel Canto di Bargagli dà vita alla magia. Sopra trovate il testo di una delle canzoni che potete ascoltare sul nostro canale You tube “Corfole”.
Me dixeiva ‘na votta mæ nonna
Me dixeiva ‘na votta mæ nonna
Mentre a stava sciôsciandô in to fêogô
Se ti piggi môggè in primmu lêogô
Ch’a nô sacce parla ô latin
Ch’a nô l’agge a vôxe da ommô
Ch’a nô l’agge e ciglie cônzunte
Ch’a nô l’agge ô nasô a dôe punte
Ch’a nô l’agge ô mentô sc-ciappoü
Ch’a nô stagghe cô-e brasse cônserte
Ch’a raxiôn-ne c’ôn in po de çervellô
Ch’a manezze côn gaibô ô cannellô
Ch’a nô digghe de lôngô a veitæ
Ch’a nô pense d’anà sempre in giô
A fa i ciæti cô-a rosa e co-a texô
S’a s’intende de pestô ancôn megiô
Ch’a prepare dô bôn menestrôn
I commenti dei lettori
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