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    attualita, edizione cartacea

    di Michela De Rosa | 30 Ottobre 2017 | in categoria/e attualita edizione cartacea

    “Ciao, volevo dirti che mi manchi” - Il telefono del vento, per parlare con chi non c'è più

    “Ciao, volevo dirti che mi manchi” - Il telefono del vento, per parlare con chi non c'è più

    L’idea è venuta dopo una catastrofe: da allora questa cabina ha accolto le parole, i silenzi e i pianti di migliaia di persone

    Novembre è considerato il mese dei defunti e noi ogni anno cerchiamo di parlare di questo argomento in modo lieve, seguendo l’evoluzione che anche questo argomento ha nel corso degli anni. Non più tabù, non più per forza solo triste. Non più taciuto. Che “parlarne fa bene” è ormai consolidato: aiuta a diminuire o gestire la paura per il tema, ma soprattutto aiuta a superare il lutto. Questa storia ne è la prova più lampante, in un modo originale, struggente e poetico: in cima a una collina affacciata su un lago, immersa in un panorama da una fiaba, appare una cabina telefonica bianca, bella e ordinata. Dentro un telefono, di quelli “di una volta”, con la rotella e la cornetta, ma senza fili. Perché chi viene qui per parlare a chi è “dall’altra parte” non ha bisogno di una linea telefonica.


    E a dire il vero non è nemmeno necessario parlare.
    Una volta varcata la porta può accadere di tutto e in modo inaspettato: c’è chi fa finta di telefonare e crea un vero dialogo, chi piange, chi rimane in silenzio, chi scrive un pensiero.
    E chi dice tutte le cose che avrebbe voluto dire prima, quando quella persona era ancora in vita: magari un “ti voglio bene” rimasto imprigionato per chissà quanto nel cuore, un “scusami” che se ne stava aggrovigliato nell’orgoglio, oppure un “ti perdono”, due semplici ma potentissime parole che liberano dai macigni del passato per poter finalmente guardare al futuro.
    Spesso accade che ci pentiamo troppo tardi di non averlo fatto prima, convinti che ne avremmo avuto l’occasione “a tempo debito” o forse inconsapevoli di quanto in realtà avevamo bisogno di dire quelle cose. Ecco quindi che il “telefono del vento” diventa un’occasione, certo simbolica ma comunque guaritrice per alleggerire il cuore. E sarebbe bello che ce ne fossero ovunque. Anche a farci da monito, ricordandoci di non aspettare che sia troppo tardi.

    Si trova in un posto emblematico
    Siamo a Ōtsuchi, in Giappone, una città duramente colpita dallo tsunami del 2011 che uccise oltre 16mila persone, quasi il 10% delle popolazione. L’idea è venuta al signor Itaru Sasaki, che durante la catastrofe ha perso il cugino: “Non potendo più raccontargli i miei pensieri attraverso una normale telefonata, ho deciso che sarebbero stati trasportati dal vento”.

    E’ nato così “il telefono del vento” e da allora questa cabina telefonica è un luogo di pellegrinaggio, dove comunicare con i propri cari scomparsi, elaborare il lutto ed esorcizzare la disperazione. Un luogo della memoria che ha già visto migliaia e migliaia di persone e per il suo invisibile ma importante contributo è anche stato oggetto di un documentario.






     


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