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attualita, edizione cartacea
di Michela De Rosa | 09 Novembre 2016 | in categoria/e attualita edizione cartacea
25 NOVEMBRE - "Lo so io come ci è arrivata lì": compie una violenza anche chi alimenta un immaginario che denigra meriti e successi delle donne. La cura? La consapevolezza, da entrambe le parti (e ci sono dati positivi)
Alla notizia che nel suo testamento Caprotti, il patron dell'Esselunga, ha lasciato 75 milioni di Euro alla sua storica segretaria si è scatenata tanto nelle chiacchiere da bar quanto sui media (e questo è ancora più grave) la più becera forma di violenza di genere: quella sui meriti. Intanto già definirla “la sua segretaria” è una scelta di vocaboli che la dice lunga: fosse stato un uomo sarebbe stato indicato come minimo come “il suo braccio destro”.
Lei invece era “la segretaria”.
E l’eredità non le sarebbe stata lasciata per la sua comprovata professionalità, per aver lavorato più ore dell'orologio, per aver guidato scelte commeciali complesse, per aver sostenuto l’imprenditore nelle sue battaglie politiche (come quelle agli ostacoli delle Coop per aprire in Liguria) e in pratica per aver contribuito di fatto con il suo lavoro e le sue competenze a creare l’impero e per questo riconosciuta con parte dei proventi.
Macché.
Essendo donna quei soldi se li sarebbe meritati per ben altre “prestazioni”. Non c’è bisogno che specifichi quali perché l’avete capito benissimo: è quello che si dice sempre, costantemente, ossessivamente per una donna che ottiene qualcosa, che sia dalla promozione alla scuola guida a quella di dirigente o in politica. Figuriamoci quando si parla di soldi. Non li ottiene mai per aver studiato (ed è statisticamente riconosciuto che le donne sono più studiose e capaci), per essersi impegnata (ed è statisticamente comprovato che le donne al lavoro rendono di più), per essersi barcamenata con successo tra lavoro, famiglia, figli piccoli e genitori anziani.
No, c’è sempre, più o meno velata, più o meno violenta o “scherzosa” l’insinuazione che tutto sia stato ottenuto grazie all’utilizzo di ben altre doti. E questo è il seme di ogni violenza. Voler sempre e per forza, in ogni occasione, denigrare i meriti, i ruoli sociali e professionali, le piccole e grandi mete raggiunte, riducendole a quello che, guarda caso, è esattamente il punto debole dell’accusatore.
La cura? La consapevolezza, da entrambe le parti.
E ci sono dati positivi.
Dato positivo 1: le donne hanno sempre più consapevolezza e denunciano
I dati sulla violenza sulle donne risultano sempre spaventosi, ma emergono importanti segnali di miglioramento: negli ultimi 5 anni le violenze fisiche o sessuali sono passate dal 13,3% all’11,3%. Ciò è frutto di una maggiore informazione, del lavoro sul campo, ma soprattutto di una migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno e di un clima sociale di maggiore condanna della violenza. È in calo sia la violenza dai partner ed ex partner (dal 5,1% al 4% la fisica, dal 2,8% al 2% la sessuale) come dai non partner (dal 9% al 7,7%). Il calo è particolarmente accentuato per le studentesse, che passano dal 17,1% all’11,9% nel caso di ex partner, dal 5,3% al 2,4% da partner attuale e dal 26,5% al 22% da non partner. In forte calo anche la violenza psicologica dal partner attuale (dal 42,3% al 26,4%), soprattutto se non affiancata da violenza fisica e sessuale. Alla maggiore capacità delle donne di uscire dalle relazioni violente o di prevenirle si affianca anche una maggiore consapevolezza. Più spesso considerano la violenza subìta un reato (dal 14,3% al 29,6% per la violenza da partner) e la denunciano di più alle forze dell’ordine (dal 6,7% all’11,8%). Più spesso ne parlano con qualcuno (dal 67,8% al 75,9%) e cercano aiuto presso i servizi specializzati, centri antiviolenza, sportelli (dal 2,4% al 4,9%). La stessa situazione si riscontra per le violenze da parte dei non partner. Rispetto al 2006, le vittime sono più soddisfatte del lavoro delle forze dell’ordine.
Dato positivo 2: gli uomini cambiano
Per fortuna niente è immutabile e anche il tabù maschile (ma ahinoi sorretto anche da tante donne soggiogate da secoli di questa cultura) della donna di successo può essere superato, come è stato fatto per tanti altri. La crescente presa di consapevolezza su tematiche come questa è inarrestabile e promettente. Il primo passo è riconoscere l’importanza delle parole, perché le parole agiscono, creano il mondo in cui viviamo.
Felice quindi che sia un uomo a scrivere: “A volte ci dimentichiamo che la violenza di genere non passa solo da quella fisica, ma è prima di tutto una violenza verbale. Che sembra scagionarsi perché “tanto è una battuta”, perché “non volevo offendere”, perché “il sessismo è negli occhi di chi guarda” e invece il sessismo è prima di tutto nelle orecchie di chi ascolta ogni giorno parole che avviliscono, svalorizzano, stuprano un immaginario collettivo che si forma ogni giorno proprio sulle parole. Ognuno nel suo piccolo può contribuire ad abbattere la cultura sessista, perché è dalle parole che usiamo ogni giorno che questa mentalità discriminatoria trae linfa vitale.”
(Paolo Iabichino per Wired).
Ecco, questo estratto dovrebbe stare scritto sui display del cellulari, sui desktop dei pc, sui cruscotti delle auto, sui tavoli delle riunioni e sugli specchi, per decidere in ogni momento che persona si intende essere e quale tipo di mondo si vuole abitare.
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