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    cultura, edizione cartacea, storia locale

    di Pier Luigi Gardella | 06 Novembre 2016 | in categoria/e cultura edizione cartacea storia locale

    PERCHE' SI CHIAMA COSI'?- GENOVA, città di due volti, di stranieri, di porti e di uomini indomabili

    PERCHE' SI CHIAMA COSI'?- GENOVA, città di due volti, di stranieri, di porti e di uomini indomabili

    In questa rubrica dei Comuni che sorgono in provincia di Genova ci sembra doveroso occuparci anche del capoluogo, il cui territorio ha raggiunto le attuali dimensioni attraverso annessioni successive (1874 e 1926) di Comuni limitrofi e si estende ora sulla costa da Nervi a Voltri includendo all’interno buona parte delle Valli Polcevera e Bisagno.
    Sulle origini del nome ci sono diverse ipotesi.
    Secondo l’arcivescovo Jacopo da Varagine (vissuto nel XIII sec.) sarebbe tratto dal primo re del Lazio, Giano, che avrebbe donato la civiltà agli aborigeni fondando un villaggio sul monte Gianicolo che da lui avrebbe preso il nome; oppure da quel Giano che, fuggito da Troia insieme a Enea sarebbe sbarcato sulle coste liguri. Altri invece fanno derivare il nome dal dio Giano: Genova ha, come lui, due “volti” uno verso il mare e l’altro verso i monti. Il poeta “Anonimo genovese”, vissuto tra il XIII e XIV sec., propende invece sul termine ‘janua’ e dichiara che Genova: “con so porto a ra marina porta è de Lombardia”. (De condicione civitate Janue, CXXXVIII). Questa interpretazione resterà tra le più accreditate in epoca medievale.

    Ma forse l’interpretazione più coerente, come sostiene la prof.ssa Gabriella Airaldi nella sua Storia della Liguria del 2008, “appare il collegamento a un toponimo derivante dall’indoeuropeo ‘genus’ = ginocchio, o dal celtico ‘genaua’ (bocca, sbocco)”.
    In entrambi i casi è chiaro il riferimento ambientale alla forma del golfo, configurato come la curvatura interna del ginocchio o come la bocca del fiume.
    Ma è ancora la Airaldi che cita una recente interpretazione che rinvia al termine etrusco ‘kainua’= città nuova, e riferito ai rapporti della città con la civiltà etrusca.
    E non è finita, perché il nome di Genova si farebbe anche risalire a una possibile radice greca da ‘xenos’= straniero, inteso come un porto ritrovo di stranieri.

    Ma gli storici romani o pre-romani, come descrivevano i Liguri, abitanti di quella regione che all’epoca era ben oltre gli attuali confini?
    Le prime testimonianze risalgono ad Esiodo ed Eschilo, che li citano come i più antichi abitatori dell’Italia. Tutti sono poi concordi nel descriverli come abilissimi guerrieri, agili a muoversi sul loro territorio montuoso e difficilmente domabili. Strabone e Plutarco definiscono i Liguri come il popolo che più creò problemi agli eserciti romani. Catone li descrive ignoranti e bugiardi senza alcuna memoria delle loro origini. Virgilio ne canta l’ardimento e la capacità guerresca, ma scrive anche “Ligure spergiuro e vanamente fiero del tuo cuore superbo”.
    Più spietato è ancora il filosofo Publio Nigidio Figulo, vissuto nel 1° sec. a.C. che definisce i Liguri appenninici “briganti e corsari, perfidi, falsi e bugiardi” arrivando a chiamarli “pirati dei monti”, e non è da meno Cicerone che li chiama “rozzi e selvatici”. Meno brutale è Tito Livio che esalta la loro abilità nel muoversi e nascondersi in luoghi inaccessibili, combattendo contro i Romani una guerriglia fatta di sorprese, imboscate evitando per lo più di scendere in battaglie campali. Ed infatti i Romani solo con Augusto riuscirono definitivamente a sottometterli.

    Concludiamo riportando un brano di Diodoro Siculo vissuto nel 1° sec. a. C. che descrive una razza di individui “tenaci e rudi, piccoli di statura, asciutti, nervosi. Costoro abitano una terra sassosa e del tutto sterile e trascorrono un’esistenza faticosa ed infelice per gli sforzi e le vessazioni sostenuti nel lavoro. E dal momento che la terra è coperta di alberi, alcuni di costoro per l’intera giornata, abbattono gli alberi, forniti di scuri, altri, avendo avuto l’incarico di lavorare la terra, non fanno altro che estrarre pietre. A causa del continuo lavoro fisico, si mantengono nel corpo forti e vigorosi. In queste fatiche hanno le donne come aiuto, abituate a lavorare nel medesimo modo degli uomini. Trascorrono la notte nei campi, raramente in qualche semplice podere o capanna, più spesso in cavità della roccia o in caverne naturali. Generalmente le donne di questi luoghi sono forti come gli uomini e questi come le belve. Essi sono coraggiosi e nobili non solo in guerra, ma anche in quelle condizioni della vita non scevre di pericolo”.


     


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