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attualita, edizione cartacea, storia locale
di Simone Parma | 06 Settembre 2016 | in categoria/e attualita edizione cartacea storia locale
La guerra dei bambini che restano: "Mio padre fu ucciso alla Squazza. Per noi era solo l'inizio di un incubo tra collegi e conventi" - La testimonianza di Anna fa riflettere su chi oggi si trova nella stessa situazione
Il 15/02/1945 furono fucilati dieci partigiani alla Squazza: per i famigliari era solo l’inizio di un calvario tra sfollamenti, collegi, conventi e privazioni
Accendiamo la tv, sfogliamo i giornali, navighiamo in internet e, che lo vogliamo o no, ovunque vediamo immagini agghiaccianti. Talmente tante che forse non ci fanno più effetto. Ed è questo il pericolo maggiore. Perché ci fa dimenticare che tocca ai civili pagare le più alte conseguenze. Come l’orrore vissuto a soli cinque anni da Omran, il bambino fotografato nell’ambulanza dopo una bomba ad Aleppo, simbolo della tragedia che si sta vivendo ora, adesso, in Siria. E allora vale la pena ricordare che è stato così anche per molti abitanti delle nostre zone durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale: ricordare quella sofferenza così vicina a noi, per capire meglio quella che stanno vivendo altri e che non verrà raccontata nei libri di storia. Come nel caso di Anna, che ci ha voluto raccontare la sua testimonianza.
Mio padre, che per vendicare l’eccidio di Stazzema fu ucciso in quello della Squazza
Armando Berretti era un Carabiniere, nato a Sant'Anna di Stazzema (Lucca). Aveva due figlie (ed una terza in arrivo) e abitava a Statale di Ne. Dopo il terribile eccidio nazifascista nel suo paese di origine decise di partecipare all'opposizione, divenendo parte della Polizia Partigiana. La sua storia terminò il 15 febbraio 1945, per un altro eccidio: quello della Squazza nel comune di Borzonasca, dove fu trasportato dal Carcere di Chiavari e fucilato insieme ad altri 10 partigiani. In quel momento finivano le loro vite e iniziavano nuove tragedie: quelle di chi resta.
Dormire su una granata
"Già prima di quel giorno la guerra ci aveva messo alla prova - racconta Anna - Nell'autunno del 1944 si erano presentate alla porta tre persone, ricordo ancora la loro divisa color cachi. Avevano appiccato il fuoco alla nostra casa, mentre mio nonno e mia mamma cercavano di salvare il possibile. Eravamo senza un tetto e l'unico ricovero che riuscimmo a trovare fu una grotta utilizzata come riparo per le foglie che sarebbero servite per le stalle delle mucche. Tutti insieme cercammo di dormire nel miglior modo possibile. La mattina, il nonno, infastidito da qualcosa di spigoloso sotto la sua schiena, spostò le foglie e si rese conto che aveva dormito su una bomba a mano!".
L'inizio della nostra storia
"Ricordo ancora com'era la nostra vita a Statale. Dove ora c'è un ristorante a quell'epoca si trovava già una grande cucina e quando avevamo la tosse andavamo lì. Per curarci mettevano un po' d'acqua a bollire e ce la facevano sorseggiare. Ancora porto una cicatrice di quella stufa. Dalle sue missioni papà ci portava sempre qualcosa: ricordo con particolare affetto la pelliccia (V. foto) che proveniva dalla Dalmazia. All’epoca ci dissero che era di tigre!”, ci confessa sorridendo.
Poi un giorno cambia tutto: "Quando arrivarono a prendere nostro padre, lui mi fece segno di restare in silenzio. Volevano portare via anche il nonno, ma li implorò di poter restare ad aiutare la famiglia e ci riuscì. Qualche tempo dopo arrivò la notizia della fucilazione di nostro padre e ricordo ancora adesso le parole del Podestà di Chiavari, il noto Vito Spiotta, che prima dell’eccidio esclamava, riferendosi a mio padre: "Berretti se ti prendo ti ammazzo!". Aveva tenuto fede alle sue minacce. Ci vollero quattro giorni e l'intervento del curato di Temossi perché venissero sepolti".
Il collegio di Lavagna doveva essere la salvezza, invece...
"Per noi nulla fu più come prima. Nel frattempo era nata la mia seconda sorella e ci trasferimmo come sfollati di guerra a Lavagna, in una villa in collina. Eravamo diventate però troppo ingombranti per quella famiglia senza una fonte di reddito, con una mamma di ventitre anni e tre figlie, così fummo spedite in collegio, alla Divina Provvidenza di Lavagna. Fu un esperienza terribile. Ogni mattina la sveglia era alle 5 e c'erano punizioni per le bambine che non riuscivano a trattenere i bisogni o non rispettavano i momenti di silenzio. Punizioni così severe da ricordarci il tempo di guerra. Dovevamo assistere a cerimonie funebri, raccogliere la pietra pomice e pulire le scale finché non tornavano a brillare. Un metodo educativo che ancora adesso mi lascia sgomenta".
La nostra intervista viene interrotta da qualche lacrima e riprende, con un filo di rabbia in più tra le parole di Anna: "Su consiglio di alcune suore fummo trasferite in Convento a Camogli, ma anche qui l'assenza della nostra famiglia si fece sentire. Mia sorella più piccola non riusciva a trattenere i bisogni e così le suore organizzarono diversi scherzi, con maschere orripilanti e con la complicità di altre ragazzine, per farla smettere. Ancora ricordo quella maschera rossa con due corna spuntare da sotto il letto. Quando uscimmo dal collegio frequentavamo la Seconda Media, ma tutto per noi era cambiato. Non proseguii gli studi e decisi di lavorare per mantenermi, anche perché mia mamma aveva un nuovo compagno, che non ci lasciava grande libertà. Così prima feci la cameriera stagionale, poi lavorai in una fabbrica di cioccolato che non esiste più."
Un annuncio di lavoro cambia tutto
Insoddisfatta e ancora segnata dall'esperienza nei collegi, Anna decide di pubblicare un annuncio e viene contattata da una famiglia del ponente ligure che sta cercando un’assistente domestica. Qui il fortunato incontro con quello che sarà l'uomo della sua vita. Il passato però non si può cancellare: "Il motivo per cui ho scelto di condividere questa storia è che non si possono mai trascurare le conseguenze della stupidità umana che vengono pagate da chi resta, anche se sui libri di storia non se ne troverà traccia".
HAI UNA STORIA DA RACCONTARE?
Con il Memorial in onore di Eugenio, nostro collaboratore e storico, portiamo avanti il suo lavoro, per far sì che la storia locale non vada persa. Se siete cresciuti coi racconti di guerra dei nonni o li avete vissuti di persona, se siete a conoscenza di fatti, storie curiose o della tradizione ma anche vicende recenti, scrivete a redazione@corfole.com oppure contattateci allo 0185.938009. Oltre alla pubblicazione, avrete un libro di Ghilarducci. La scrittura non è il vostro forte? Vi manderemo un nostro giornalista.
I commenti dei lettori
Spirito libero:
Anch'io sono stata nel collegio di Lavagna, dal 1980 al 1988, c erano bambini trattati meglio e altri, come me, trattati male...lucidare in ginocchio i pavimenti prima di andare a scuola, stare sempre in silenzio, sbucciare patate lesse appena scolate che sembravano palle di fuoco...
Mio padre continuava a farmi visita ogni sera, e verso i 10 anni inizio' a menarmi ad ogni visita, io piangevo e urlavo, ma le suore non gliel hanno mai impedito e mai mi hanno consolata.
Nessuno controllava dall esterno cio' che succedeva li dentro...
Oggi nonostante tutto, sono abbastanza forte, penso positivo e cerco sempre di sorridere, alla faccia di tutti loro.
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