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edizione cartacea, storia locale
di Simone Parma | 02 Maggio 2016 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
LA NOSTRA STORIA - Mario,uno dei pochi superstiti alla campagna di Russia: le scarpe di cartone, la fuga a cavallo sotto la neve e il folle salto da un treno in corsa per scampare ai campi di concentramento
Settantacinque anni sono passati, ma il Signor Mario (nome di fantasia n.d.r) ci tiene ancora a mantenere l'anonimato: sono troppe le vicende personali e delicate di quel periodo. Essendo figlio di un colonnello dell’esercito, si arruolò volontario e partì con l'ARMIR (Armata italiana in Russia) con altri 220.000 italiani. Come ben sappiamo ne uscimmo sconfitti e di quei ragazzi ne tornarono a casa solo 8.000.
Scarpe di cartone e vino a cubetti
«Essere arruolato nel Genio consentiva di non essere in prima linea, ma di stazionare in un luogo defilato dove poter avvistare gli aerei nemici e comunicarlo al fronte. Dopo un primo periodo tranquillo la situazione degenerò e rimasi prigioniero, insieme a tutta la spedizione della "Sacca del Don". Oltre alla pressione dei Russi, dovemmo anche sopportare i pesanti disagi procurati dai boicottaggi degli italiani che erano contrari alla guerra: in estate arrivavano cognac e mantelli pesanti e in inverno abiti estivi e scarpe di cartone, in un posto dove le temperature arrivavano anche a -45° e dovevamo tagliare il vino “a cubetti” con il coltello. La benzina era già finita da un pezzo e le file di camion fermi lungo la strada erano a perdita d'occhio. Non potevamo muoverci se non a piedi».
Anche da alleati per i tedeschi eravamo solo carne da macello
«Così a Dicembre del 1942 iniziò la grande ritirata dal fronte russo, ma i tedeschi non erano d’accordo in quanto volevano tenerci negli avamposti come scudo. Fu così che anche i tedeschi iniziarono a bombardarci! Tutti i soldati non tedeschi iniziarono a travestirsi (chi da civili, chi da soldato dello schieramento opposto) per non essere ammazzati, e l'unica fonte di cibo erano i camion abbandonati lungo il percorso. Fu il caos. Nel nostro gruppo riuscimmo a ingannare i tedeschi dicendo che avremmo attaccato al fronte e che avevamo bisogno di carburante: una volta ottenuto decidemmo di continuare a battere in ritirata».
L'amore del popolo russo
«Quando anche quel carburante si esaurì ci fermammo di villaggio in villaggio a ripararci dal freddo sempre più mortale. Un freddo che venne allietato dal calore della popolazione russa, sensibile, fraterna e dolce con noi italiani. Non con i tedeschi. Loro erano troppo violenti e spadroneggiavano entrando nelle abitazioni civili e uccidendo chi trovavano. Noi riuscimmo ad instaurare un rapporto umano, tanto che in certi casi ci permisero persino di fare il bagno in cambio di qualche cosa da mangiare. Un vero lusso».
La fuga dalla russia a cavallo sotto le bombe
«Senza carburante e con quel freddo fu davvero un colpo di fortuna trovare un cavallo. Grazie a quel mezzo di fortuna riuscii a percorre molti chilometri. Ma l'incontro con il nemico avvenne molto presto. Mentre ci stavamo riparando in una casa una bomba di 50 chili arrivò, scivolando sul ghiaccio, proprio davanti alla nostra porta. Tutto divenne polvere: le urla e le grida erano ovunque. Quando riaprii gli occhi ero ancora vivo, solo una piccola ferita sulla mano, mentre i miei compagni erano feriti o morti, proprio lì accanto a me. Il viaggio però continuò, nonostante tutto, e a causa di una malattia riuscii a rientrare in Italia con un treno ospedale.»
Dall’italia all’incubo dei campi di concentramento: mi salvai gettandomi dal treno in corsa
«Non divenni un partigiano, ma nemmeno una camicia nera e riuscii a restare nell'ombra fino all'8 Settembre. Quel giorno ero ricoverato in un ospedale militare di Milano per un ascesso e i tedeschi, vista l'evoluzione dello scenario italiano, obbligarono tutti i ricoverati a salire sui treni diretti in Germania, nei campi di concentramento. Mi finsi gravemente malato e riuscii a salire non su un treno bestiame bensì su un treno ospedale, con porte e finestrini veri. Appena il treno arrivò nella campagna della Pianura Padana e rallentò non ci pensai due volte, aprii il finestrino e mi buttai dal treno in corsa. I contadini mi salvarono e di lì a poco ritornai nel Tigullio per iniziare la mia vita».
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