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attualita, edizione cartacea, storia locale
di Michela De Rosa | 07 Aprile 2016 | in categoria/e attualita edizione cartacea storia locale
Quando il nostro entroterra era zona “da imperatori”: ecco la pietra che riscrive la storia. Un reperto unico, "scippato" al territorio
di Michela De Rosa
E’ un ritrovamento eccezionale, ma è soprattutto una vicenda degna di un thriller storico quella che ruota attorno al cippo rinvenuto sul Monte Ramaceto, nel territorio del Comune di Orero (Val Fontanabuona). Gli elementi ci sono tutti: 1988, l’allora brigadiere del Corpo Forestale dello Stato di Casarza Italo Franceschini smuove una grossa pietra per verificare la presenza di vipere e accortosi dell’iscrizione scatta una foto, presentandola nel suo rapporto, ma nesuno vi bada; arriviamo al 2014, quando Franceschini va in pensione e si decide a fare ordine tra le foto, stampando anche quella della “strana pietra” e inviandola all’amico archeologo Roberto Maggi, che ne capisce subito l’importanza; scatta così l’attenzione della Soprintendenza ai Beni culturali che invia “sulla scena” un nutrito gruppo di agenti della polizia provinciale che, proprio come dei detective, setacciano la zona per mesi, ma della pietra neanche l’ombra; ci riprovano più volte, finché, aiutati da esperti locali del territorio e dagli abitanti del luogo, si raggiunge l’agognato ritrovamento. E infine la conferma: quella pietra rivoluziona secoli di storia. Scopriamo perché.
Il significato del cippo
Risale al 200 d.C. e il suo utilizzo è chiaro: delimitare due terreni confinanti, come si deduce dalle iscrizioni che si riferiscono ai rispettivi proprietari, come spiega Giovanni Mennella, tra i massimi esperti di epigrafia latina e presidente della Tigullia. Infatti, su un lato la pietra riporta la dicitura “Caesaris N.”, che sta per “Caesaris nostri”, ossia “proprietà del nostro Cesare”. Ciò significa che il terreno su questo lato era di proprietà dell’imperatore. Le lettere PMG sull’altro lato possono essere interpretate in due modi diversi: potrebbero riferirsi a un ricco proprietario terriero oppure indicare i fondi lì posseduti dal comune di Genua, al quale in epoca romana era sottoposta la riviera orientale.
Ma cosa ci facevano i romani sul Ramaceto nel Secondo Secolo dopo Cristo?
Probabilmente, già all’epoca, il monte era sfruttato come grandissima fonte di legname, utile nella cantieristica navale ma anche per riscaldare le terme. E’ inoltre probabile l’uso del territorio per attività connesse all’allevamento del bestiame. Come ha spiegato il professor Mennella, recenti studi sui pollini, condotti con specialisti protostorici, suggeriscono che in età romana nella zona sia stato introdotto il faggio, che si sposa bene anche con l’allevamento caprino e ovino.
Perché è così importante?
Innanzitutto perché è il primo ritrovamento in tutta Italia di un cippo confinario delle proprietà imperiali. Non solo, è tra le poche testimonianze del genere esistenti: reperti simili infatti sono noti solo in Spagna e in Siria. Ma ciò che “sconvolge la storia locale” è il quadro storico-economico che ne deriva e che rivoluziona le conoscenze che si avevano finora sulla presenza romana in Liguria e in particolare sull’area di Levante: finora si pensava infatti che la nostra riviera fosse caratterizzata da piccole proprietà terriere, mentre il cippo suggerisce l’ipotesi che la zona fosse sede produttiva ed economicamente allettante persino per l’imperatore, sia per quanto riguarda la produzione di legname sia per l’allevamento.
E ora che ne sarà del cippo? Intanto lo hanno scippato al territorio
I reperti considerati di “rilevante importanza” vengono di fatto requisiti dallo Stato, passando direttamente alla Soprintendenza ai Beni Culturali che decide cosa farne. Come prima cosa è stato esposto in una mostra a Genova, snobbando del tutto il territorio in cui è stato ritrovato, ossia il nostro entroterra o quantomeno il Levante. La cosa forse non deve sorprendere visto che lo stesso Comune di Orero non solo non è stato coinvolto nelle ricerche né tantomeno nelle esposizioni, ma addirittura ha saputo del ritrovamento sul suo territorio solo dagli articoli dei giornali. Capiamo che a Genova il reperto può avere ben più visibilità, ma è anche vero che va a sommarsi a tante altre attrazioni, passando così in sordina, mentre qui avrebbe la valorizzazione del pezzo unico. Senza contare che è di questo territorio che parla, dicendoci che ai tempi dei romani queste zone erano altro che “aree drepresse”. Insomma, diamo a Cesare quel che è di Cesare. Intanto speriamo che questo cippo non resti solo un “importante ritrovamento”, ma diventi l’innesco di una nuova consapevolezza sulle risorse locali, come fonte produttiva, agricola e turistica.
Tratto da CORFOLE! del 4/2016, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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