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edizione cartacea, storia locale
di Simone Parma | 13 Aprile 2015 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
Spie per caso, propagandiste e infiltrate: il coraggio delle “nostre” ragazze, eroine della Liberazione
Con un coraggio da leonesse hanno scritto la Storia senza mai essere ricordate. Prima d’ora.
Storie vere tratte dal libro “Uscio la resa nazifascista del 27-4-1945” di Bruno Garaventa
Sono passati 70 anni esatti. Molti non erano ancora nati, altri erano troppi piccoli per ricordare. Ma quel 1945 è rimasto scritto su tutti i libri di storia, sui monumenti di tutte le città. Quando si parla di Liberazione tutti pensiamo ai partigiani e quando immaginiamo una brigata la prima cosa che viene alla mente è una squadra di uomini in posa davanti alla macchina fotografica dopo il 25 Aprile, tutti sorridenti, chi con il fucile in mano, chi con la sigaretta in bocca, chi con il cappello e qualche vestito ancora stracciato dai combattimenti. Ma quegli uomini in posa non furono gli unici a scendere in guerra contro gli invasori. Qualcun altro combattè in modo meno visibile ma forse ancor più fondamentale: le donne. Bruno Garaventa, nato a Uscio, che da anni raccoglie informazioni, materiali e fotografie sulla resistenza delle nostre vallate, ha raccolto moltissime storie nel suo libro “Uscio la resa nazifascista del 27-4-1945”, nel quale vengono ricordati tutti i personaggi partigiani di Uscio, Avegno e della Val Fontanabuona. Tra di loro diverse sono donne e ragazze che a quell'epoca diedero il loro fondamentale contributo ai propri fratelli nascosti fra la macchia dei nostri appennini. Furono anche loro a decidere le sorti di una guerra che stava distruggendo il nostro paese. Ricordiamole come meritano.
Delia, che fingendosi una sprovveduta ragazza di campagna convinse un intero gruppo a disertare
Agli occhi degli occupanti tedeschi di Uscio non era altro che una carina e giovane ragazza di campagna, che ogni giorno andava alla fontana a fare la scorta di acqua fresca, scherzando con gli Alpini di guardia. In realtà Delia lavorava in segreto per il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e per la brigata partigiana di Uscio e come nei film di azione riuscì a conquistare la fiducia dei soldati, convincendo un intero gruppo di Alpini della Monterosa a disertare, aiutandoli poi a scappare passando verso i monti, dove li attendevano altri partigiani per aiutarli nella loro fuga. Un lavoro tanto rischioso quanto difficile, tanto che in paese in molti si chiesero dove fossero spariti quei soldati. Ma nessuno, tanto meno i tedeschi, seppe mai la verità.
IN FOTO: Rastrellamento dei nazisti nei nostri paesi: alle spalle si notano le case incendiate
Maria Grazia, che si infiltrò tra i tedeschi come traduttrice salvando diverse vite
A volte fu la fortuna, unita ad un coraggio incredibile a far girare la ruota a favore dei partigiani. Maria Grazia Funari di Camogli non avrebbe mai pensato che la malattia che aveva costretto il padre a ritirarsi fra le montagne del Trentino Alto Adige, l'avrebbe aiutata a liberare la sua terra. Durante il soggiorno imparò il tedesco e le lingue ladine, che le permisero non solo di salvarsi durante il rastrellamento di Pannesi del 1944, ma persino di essere assunta come traduttrice e interprete dai tedeschi. Un ruolo che le permise di trafugare preziose informazioni, salvando diverse persone. Fu presente anche nel momento della resa delle truppe tedesche e fasciste, che venne negoziata alla presenza degli esponenti del CLN, dei partigiani e degli Americani proprio a Uscio.
Elvira, deportata nei campi di concentramento per aver fatto propaganda e aver fornito documenti
Arrestata e deportata prima nel campo di concentramento di Merano e poi in quello di Bolzano per aver fatto propaganda ed aver fornito documenti alla resistenza nelle sue lettere ritroviamo una forma di eroismo tutta femminile. Durante la propria prigionia scriveva così alla mamma rimasta a Uscio: «fatti coraggio e soprattutto non piangere, pensa che tua figlia è orgogliosa e contenta di esserci (nel campo di concentramento, ndr), l’unica cosa che mi dispiaccia è di essere lontana da voi tutti che voglio immensamente bene […] E tu mammina come stai? I dolori che ti danno le tue mani sono scomparsi? Vorrei tanto saperti tranquilla sia per me, sia per papà, che rivedremo al più presto di quello che pensiamo».
Ines e Filomena, torturate dai nazisti
Ines, farmacista di Recco, aiutava le brigate e il CLN fornendo medicine, garze e tutto quanto necessario per curare le ferite; per questo fu imprigionata a Chiavari dove rimase giorni appesa per le braccia. Nella speranza dei fascisti avrebbe dovuto lasciarsi scappare i nomi dei partigiani che aveva conosciuto, ma la sua tenacia e il suo orgoglio convinsero gli occupanti a rilasciarla senza che ebbe proferito parola. Non andò così a Filomena (in foto), uccisa dai maltrattamenti dei tedeschi nel gennaio del 1945.
Se Genova è stata liberata in due giorni e se possiamo dirci persone libere il merito è di queste donne e di quelle che come loro, lavorando di nascosto, rischiando la vita, subendo torture e ingiustizie hanno liberato la nostra terra, senza ricevere medaglie né gli onori della cronaca. A loro va il nostro più sentito grazie.
Tratto da CORFOLE! del 4/2015, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
I commenti dei lettori
Bruno Garaventa:
Mi molto piacere vedere pubblicato questo documento che ricorda le Donne Partigiane di Uscio, ma con loro tutte le donne dei Paesi delle nostre montagne e città, che hanno lottato per la nostra Libertà e Democrazia. Anche in questi giorni di feste Natalizie, è bello averle ricordate. E riportare le pagine del "CORFOLE" che a suo tempo le aveva pubblicate, Grazie. Bruno Garaventa, (di Uscio)
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