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    benessere, cucina, edizione cartacea, storia locale

    di Luca Bagnasco | 08 Maggio 2014 | in categoria/e benessere cucina edizione cartacea storia locale

    Memorie di futuro: lo chef Paolo Passano ha raccolto dagli anziani del posto la tradizione agroalimentare locale che rischiava di andare persa e l'ha salvata in un libro

    Memorie di futuro: lo chef Paolo Passano ha raccolto dagli anziani del posto la tradizione agroalimentare locale che rischiava di andare persa e l'ha salvata in un libro

    La buona tavola passa dal contatto col territorio, le tradizioni e i prodotti tipici
    Mantenere viva la tradizione e la storia del nostro territorio è vitale per guardare al futuro. Lo sa bene Paolo Passano, chef, titolare de “La Bilaia” e autore: il 5 aprile ha presentato all’Auditorium di Lavagna il suo libro “Memorie di futuro”, una ricerca storica e antropologica alla riscoperta delle tradizioni agricole e alimentari di Lavagna che sarebbero altrimenti destinate a sparire per sempre. Non è quindi legato unicamente alla cucina, ma alla vita del nostro territorio presente e futura. Una racolta necessaria soprattutto oggi, in cui il progresso tecnologico allontana progressivamente gli abitanti dalle loro radici culturali. Paolo ha raccolto il materiale non solo tramite ricerche storiche, ma anche dalle testimonianze dirette di molti contadini del posto, all'inizio restii e diffidenti di fronte a un ragazzo che sembra quasi voler copiare e spiare il loro lavoro. Così, racconta Paolo, “cercavo di stringere amicizia, portando qualche bottiglia di vino o qualche prodotto del mio orto, e una volta compreso il mio lavoro li ho intervistati, lavorando con loro nei campi e cercando di prendere appunti come riuscivo. Anche la loro memoria storica sta svanendo, alcuni non ricordavano esattamente tutto come un tempo, e questo mi ha stimolato ancora di più a continuare la mia ricerca.”

    Come è nato questo libro e di cosa parla?
    Il libro è nato perché mi sono posto l'obiettivo di lavorare a Lavagna, dove ho aperto l'agriturismo La Bilaia, e per farlo mi sembrava importante conoscere al meglio il mio territorio per poterlo promuovere. Ho iniziato le mie ricerche all'università, nelle biblioteche, e poi qui in loco. Mia nonna diceva sempre: “tutti vogliono conoscere l'America, ma poi non sanno cosa c'è dietro l'angolo di casa propria.” Una frase bellissima e grazie a questo lavoro ho scoperto cose che oggi in pochi sanno, come la fiera del bestiame in via Moggia, la pesca a strascico lungo le spiagge dove i contadini aiutavano i pescatori, gli orti di Cavi... Tradizioni ormai perse che bisogna ricordare non con spirito nostalgico, ma critico affiché non vadano perdute. Alle ricerche antropologiche ho aggiunto poi una ricerca dei piatti tipici nei dizionari gastronomici e i prodotti che portano il nome della città: il pisello di Lavagna, il cavolo broccolo lavagnino. Tutto a sottolineare il forte legame dell'uomo con la sua terra. Il contadino oggi è visto come un ruolo umile, faticoso e denigrante, ma sono proprio loro che tramandano i saperi antichi del nostro territorio.

    Quanto è importante secondo te la riscoperta della storia del territorio?
    è fondamentale: se la città non ha un'identità, un senso di appartenenza, chi mai vorrà viverci? Queste conoscenze non sono state più tramandate oralmente e di conseguenza si sono perse; i giovani pensano di trovare le risposte su Google, dimenticando che gli anziani possono arricchire le loro conoscenze. E allo stesso tempo, questo lavoro non esiste solo per il presente, ma per il futuro, perché rimanga viva una testimonianza vitale, che comprende anche il nostro tempo, che a noi può sembrare difficile, ma per i nostri figli sarà un tempo lontano.

    Hai anche lavorato all'estero: in che modo questa esperienza ha influito su di te?
    Ho lavorato con i miei genitori in Equador, dove abbiamo due ristoranti italiani. Si tratta di una cultura differente, quindi abbiamo dovuto “adattare” la ristorazione italiana ai gusti della zona. Insieme a loro ho pubblicato un libro intitolato “La cucina dei due mondi” e avevo già scritto un libro sullo slow food in Equador. L'esperienza oltreoceano è stata importante perché la scoperta dei prodotti e della cucina equadoriana mi ha aiutato a essere più sensibile: per cucinare ci vuole umiltà, passione, sacrificio ma anche sensibilità. Sensibilità nel gusto, per riconoscere le materie prime, per capire quando un prodotto è guasto o quando va bene ma bisognerebbe migliorarlo: mi è servito soprattutto a sviluppare la mia curiosità su altre realtà, non solo quella italiana.

    Il libro promuove la conoscenza del territorio ma anche l’educazione alimentare
    Sì, ho voluto aggiungere poi un ultimo capitolo: un progetto di sviluppo sostenibile per il territorio dove ho voluto rimarcare l’importanza dell’educazione alimentare; una necessità dovuta anche al ruolo dei media, che comunicano molto ma disinformano anche. Basti pensare poi anche alle frodi alimentari, contro cui un’educazione alimentare è importante. Sono dell’idea che per questi motivi sia importantissimo far conoscere alle nuove generazioni il cibo vero. L’educazione alimentare è allo stesso tempo educazione del territorio, un modo per conoscerlo ed apprezzarlo.


    Tratto da CORFOLE! del 5/2014, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata


     


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