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    attualita, edizione cartacea

    di Michela De Rosa | 10 Dicembre 2013 | in categoria/e attualita edizione cartacea

    Mandela: una storia da conoscere. Fu leader di un popolo ma prima fu condottiero della sua anima. Nei 27 anni di prigione imparò da una poesia a sentirsi “mai sconfitto”

    Mandela: una storia da conoscere. Fu leader di un popolo ma prima fu condottiero della sua anima. Nei 27 anni di prigione imparò da una poesia a sentirsi “mai sconfitto”

    Ho compreso meglio la figura di Mandela qualche anno fa grazie a un grande film che vi consiglio: “Invictus”, del 2009. Da qui si possono cogliere le straordinarie capacità di quello che definirei leader “degli animi”: è smuovendo quelli che ha letteralmente condotto un popolo verso la libertà. Ma conosciamolo meglio, questo grande uomo, partendo da una curiosità: il nome Nelson gli fu assegnato alle scuole elementari mentre Mandela è il cognome assunto dal nonno. Il suo vero nome era Rolihlahla, letteralmente “colui che provoca guai” ed è proprio il caso di dire in nomen omen. I guai li procurò ai “bianchi”, che pur costituendo solo il 20% della popolazione sudafricana, avendone fatta una propria colonia, dettavano legge e depredavano la terra. Non bastasse, con la vittoria alle elezioni del 1948, il Partito Nazionale attuò il sistema legislativo dell’apartheid (di chiara ispirazione nazista) che consisteva nel dividere il popolo in razze, dove quella bianca era la “razza superiore” e quindi i nativi di colore erano relegati solo in alcune aree, non potevano prendere parte alla vita politica e sociale, nè utilizzare le strutture pubbliche (fontane, sale d’attesa, marciapiedi), etc. Nel 1956 l’apartheid fu esteso a tutti i cittadini di colore, compresi gli asiatici. Negli anni ‘60 3,5 milioni di neri furono sfrattati con la forza dalle loro case, deportati nelle “homeland del sud” e privati di ogni diritto politico e civile. Potevano frequentare solo scuole agricole e commerciali speciali. I negozi dovevano servire tutti i clienti bianchi prima dei neri i quali dovevano avere speciali passaporti interni per muoversi nelle zone bianche; pena l’arresto. Sembra una storia di secoli fa e invece ancora fino agli anni ‘80 a causa dell’apartheid il Sudafrica fu escluso dalle Olimpiadi. Mandela fu leader del movimento anti-apartheid e per questo passò in carcere ben 27 anni. La sua liberazione, nel 1990, e la sua successiva elezione a capo dello Stato nel 1994 decretarono la fine di quella vergogna. Il suo partito è rimasto da allora ininterrottamente al governo e l’anniversario delle elezioni (27 aprile) è giorno festivo, la Festa della Libertà.
    Un filo invisibile lo lega
    E rieccoci all’inizio, al film Invictus, che prende il titolo da una meravigliosa poesia. Invictus, in latino "mai sconfitto", racchiude già nel titolo la vita, la forza e il destino di Mandela, che usò questa poesia come vera e propria ancora di salvezza per alleviare gli anni della prigionia. Quella stessa forza lo unisce come un filo invisibile all’autore, il poeta inglese: William Ernest Henley, anche lui in un certo senso prigioniero, ma delle malattie, alle quali non si arrese. All'età di 12 anni rimase vittima di una grave forma di tubercolosi ossea. Nonostante ciò, continuò i suoi studi e avviò una carriera giornalistica a Londra. Il suo lavoro però fu interrotto continuamente dalla grave patologia, che all'età di 25 anni lo costrinse all'amputazione di una gamba. Non si scoraggiò e visse con una protesi artificiale, fino all'età di 53 anni. Stevenson si ispirò a lui per il personaggio di Long John Silver ne L'isola del tesoro. La poesia Invictus fu scritta nel 1875 proprio sul letto di un ospedale. E allora facciamola nostra e che ci dia forza nei momenti in cui ci sentiamo prigionieri di qualcosa.

    INVICTUS

    Dal profondo della notte che mi avvolge,

    buia come un pozzo

    che va da un polo all’altro,

    ringrazio qualunque dio esista

    per l’indomabile anima mia.

    Nella feroce stretta delle circostanze

    non mi sono tirato indietro né ho gridato.

    Sotto i colpi d’ascia della sorte

    il mio capo è sanguinante, ma indomito.

    Oltre questo luogo d’ira e di lacrime

    si profila il solo Orrore delle ombre,

    e ancora la minaccia degli anni

    mi trova e mi troverà senza paura.

    Non importa quanto stretto sia il passaggio,

    quanto piena di castighi la vita,

    io sono il padrone del mio destino:

    io sono il capitano della mia anima.

    Tratto da CORFOLE! del 12/2013, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata


     


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