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edizione cartacea, storia locale
di Maura Bregante | 05 Marzo 2013 | in categoria/e edizione cartacea storia locale
Fiori d'arancio in bianco e nero: quando il matrimonio si faceva in paese, con il corteo a piedi e le campane in festa e i più fortunati andavano in viaggio di nozze ‘fino a Pisa a vedere la torre'
Come si sposavano le nostre nonne e il dramma dei matrimoni di guerra
Il “colore del matrimonio”, i segna-posti in coordinato, le fotografie realizzate dal fotografo più “in” del momento, il dj pronto a far scatenare gli invitati fino all’alba… È la normalità che accomuna tanti matrimoni al giorno d’oggi, dove non si bada a spese e tutto deve essere perfetto per intrattenere gli invitati spesso numerosi. Oggi le nozze e tutto quello che “ci gira intorno” sono diventate un vero business, tanto che negli ultimi anni sono nate le nuove figure professionali, già peraltro largamente diffuse all’estero, del “wedding planner”. Non è certo sempre stato così: le nostre nonne e le zie che oggi partecipano a queste mega feste ricordano le loro nozze, alcune più semplici, altre sfarzose, alcune in tempo di guerra, altre nell’immediato dopoguerra. A cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta il matrimonio in un paese piccolo come Riva rappresentava un vero e proprio evento. Gli sposi per la celebrazione del rito sceglievano spesso la messa principale della domenica mattina. Le campane suonavano a festa già dalle prime ore per annunciare l’evento giogioso.
Di solito i giovani sposi appartenevano alla stessa parrocchia, magari erano cresciuti insieme giocando nell’oratorio e negli anni avevano scoperto di amarsi. La mattina delle nozze il corteo nuziale partiva a piedi dalla casa della sposa: la ragazza al braccio del padre e dietro parenti e amici di entrambe le famiglie. La sposa sceglieva obbligatoriamente l’abito bianco, mentre lo sposo l’abito scuro nero o blu, da indossare poi nelle altre occasioni di festa degli anni a venire. Al termine della cerimonia, dopo aver lanciato il riso ai novelli sposi, tutti i parenti, i conoscenti e i compaesani formavano nuovamente un corteo e raggiungevano l’abitazione della sposa. La giovane, una volta salita nella propria abitazione, si presentava al balcone con un grosso vassoio di confetti da lanciare alle persone di sotto, e condivideva così con loro questo giorno di felicità. Il banchetto di solito si svolgeva in casa in compagnia di parenti ed amici stretti, magari era l’occasione per gustare un buon arrosto e una pastasciutta preparata con il sugo di carne. Molte signore ricordano poi il loro viaggio di nozze, qualcuna un semplice pic-nic sul bosco, altre raccontano di una gita a Genova, le più fortunate a Pisa a vedere la torre.
Altre atmosfere per i ‘matrimoni di guerra’
Accanto a queste nozze felici, si celebravano anche i cosiddetti “matrimoni di guerra” ossia avvenuti durante i conflitti mondiali. All’interno di alcuni diari autobiografici dell’epoca troviamo numerose testimonianze di storie d’amore bellissime. I due fidanzati attribuiscono al matrimonio un valore assoluto e totale, spesso sono consapevoli della loro imminente separazione; dopo le nozze lo sposo sarebbe dovuto tornare a servire la patria in veste di soldato.La giovane era spesso costretta a rinunciare al così tanto desiderato abito bianco per indossare invece l’austero tailleur nero e il rinfresco, dopo la breve cerimonia, era spesso povero e frettoloso. Le spose di allora sono piene di rimpianto per la loro festa mancata. I primi anni di matrimonio sono trascorsi a distanza, figli mai conosciuti dal padre continuano a crescere mentre lui è lontano a combattere e le giovani mamme cercano di annotare sui loro quaderni tutti gli avvenimenti ritenuti importanti per poter un giorno raccontare quella storia anche al loro sposo. Michelina M. scrive parole di una tenerezza sconcertante: “… non sai più niente dei bambini, proverò a raccontarti la trasformazione dei tuoi figlioli in questi mesi di lontananza. Il nostro maschietto è tanto cresciuto, non è ingrassato, anzi è assotigliato, ma a me sembra molto più cambiato nel morale che nel fisico…Ormai T. chiama Mamma! E ieri sera siamo riusciti con la tua foto grande in mano, a fargli dire papà. ”
Tratto da CORFOLE! del 3/2013, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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