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cultura
01 Maggio 2009 | in categoria/e cultura
Il maestro 007 e il Patto Atlantico: di quando passai dalla tunica alla divisa, dello spionaggio e di quella balera che divenne Circolo
Washington il 4 aprile 1949: viene firmato il Patto Atlantico. Quest’anno si celebra quindi il 60° anniversario. Ne è passato di tempo e ne sono cambiate di cose... vi racconto come ho vissuto io quella data.
Nel 1948, dopo tre mesi di CAR (Centro Addestramento Reclute) a Modena venni inviato a Belluno al glorioso Reggimento paracadutisti Nembo della altrettanto gloriosa Divisione Folgore. No, niente lanci, solo orgogliosa appartenenza. Cantavo con gli altri, petto in fuori, durante le manifestazioni patriottiche: “All’armi, arditi dell’aria…. pronti al lancio al rombo del motor, non tremar se fischia la mitraglia, lotta con fiducia e con ardor….”. Oggi mi fa sorridere, ma allora…. Era tempo di preoccupazione per l’approssimarsi di uno degli avvenimenti più importanti della storia d’Europa cioè la firma del Patto Atlantico in contrapposizione al Patto di Varsavia.
Dalle note del libretto personale risultava la mia propensione liberale in contrasto piuttosto marcato al comunismo; anche se non mi ero esposto in forme evidenti, sentivo dentro di me il timore che quel regime, legato al comunismo russo, potesse prevalere. Venni convocato da una Commissione e mi fu chiesto se ero disposto a collaborare come informatore (avevo fatto un corso al CAR), segnalando commilitoni e non solo, di sinistra. Non fu facile per me prendere una decisione che sapevo mi avrebbe costretto, come poi accadde, segnalare a malincuore conoscenti e amici.
Qualcuno può pensare che fossi spinto da rimasugli di spirito fascista, quello che aveva entusiasmato il novanta per cento degli italiani prima della seconda guerra mondiale e che ancora tanti non avevano rinnegato. Niente di tutto questo. Sono uno dei pochi che non ha vissuto l’era fascista per il semplice motivo che ho trascorso l’infanzia in collegio. Mi capita di dire, senza vergognarmene, che mentre i miei coetanei passavano da ”Figlio della lupa” a “ Balilla” ad “Avanguardista” io restavo Crociatino del Cuore di Gesù, orgoglioso di indossare la bella tunica bianca con la grande croce rossa davanti.
Accettai solo spinto da idealismo e da profondo amor di patria, consapevole dei rischi cui andavo incontro. Allora frequentavo abbastanza assiduamente una sala da ballo a Borgo Pra dove avevo conosciuto ragazze e ragazzi con i quali trascorrevo piacevoli serate e siccome ero in possesso del tesserino permanente non avevo preoccupazioni per il rientro in caserma. Un giorno però ci fu una novità impensata che sconvolse gli equilibri: la sala divenne “Circolo” e occorreva un tesserino per entrare.
Ai militari era proibito qualsiasi forma di associazione e questo si trasformò in preoccupazione: rinunciare a ballare in quel locale o contravvenire agli ordini perentori? Dopo molta esitazione trovai una soluzione abbastanza grave che avevo presa con leggerezza.
In fureria, dove ero impiegato, c’erano dei tesserini in bianco prefirmati dal Comandante del Reggimento, quel Colonnello Salvatore Castagna, eroe di Giarabub immortalato dalla canzone “Colonnello non voglio il pane”. Ne compilai uno con un nome fittizio: Roscato Marco e con quello potei ottenere il tesserino del Circolo evidentemente politico sul quale era scritto: Il Circolo sarà la tua casa, i frutti della tua attività spanderanno a beneficio morale e materiale per tutti coloro che ne abbisognano. Promettendo di lavorare secondo i compiti che ti saranno assegnati, lavorerai per il popolo e per te che ne sei figlio perché molto si è sofferto ieri e tanto soffriamo oggi e anche tu farai che domani non sia come ieri ed oggi.
E venne il giorno del... rendiconto. Il fatto del tesserino suscitò enorme scalpore e preoccupazione negli alti ranghi militari. Il capitano comandante della compagnia col quale avevo da poco avuto un diverbio per un fatto al quale avevo dimostrato di essere estraneo, mi chiese se avessi il tesserino perchè il Comandante del Reggimento voleva vederlo. In un primo momento, pur ammettendo di averlo, non volevo consegnarglielo, poi al fine dissi tranquillo: “Tanto non c’è il mio nome!” Passò qualche giorno e il capitano me lo restituì davanti ad un commilitone.
Non esitai un attimo, lo strappai e lo gettai nel cestino della carta notando sul suo viso un grave disappunto. Più tardi mi chiese: “Perché?” “Perché? - risposi seccato- Lei vuol mettermi nei pasticci!” “No, Enzo fa l’informatore come te!” proseguì candidamente.
Facevamo lo stesso lavoro all’insaputa uno dell’altro! In serata raccolsi i pezzetti del tesserino, lo ricomposi incollandoli con carta velina. Quando mi presentai al Circolo l’incaricato mi chiese spiegazioni ed io prontamente : “Il capitano me l’ ha strappato ed io l’ho ricomposto!”
Dal fatto trassi qualche vantaggio perché, ammirati, mi lasciavano entrare spesso gratuitamente mettendomi al corrente di notizie che altrimenti non avrei conosciuto. Quando passava la ronda mi accucciavo dietro ad un pianoforte coperto da una tenda verde facendo finta di nascondermi. Come convenuto molte ragazze si appoggiavano ad esso impedendo la visuale. Quel gioco mi piaceva tanto!
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