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letture
01 Dicembre 2008 | in categoria/e letture
Storie di vallata 3: borghi perduti, leggende e personaggi del territorio nell'ultimo libro di Eugenio Ghilarducci
Dopo storie di vallata 1 e 2 (che promettiamo ai lettori di recensire nei prossimi mesi ma che non hanno alcuna pretesa di continuità, se non per la data di uscita) ecco arrivare l'ultima fatica di Eugenio Ghilarducci appassionato cultore di storia locale e storico collaboratore del Corriere della Fontanabuona e del Levante.Il libro è come sempre una piccola perla di fatti e misfatti del territorio.
Cominciando dai toponimi scopriamo che Barego o meglio la dicitura “no Barego” significa “andare nel borgo”: quello più antico sulla zona cosiddetta di transito, Traxio, Trazo (l'attuale Traso). Lì il fiorire di leggende come quella del Gran Diavolo e del Diavolino che da anni scorazzavano tra la Fontanabuona e la Val Bisagno cannibalizzando i “foresti”. Nessuno si preoccupò troppo della cosa, proprio in quanto.. foresti! O quella di Giuan e i “cercatori d'oro”, di cui non sveliamo nulla lasciandovi il gusto della ricerca.
Dalle figure maligne il libro passa a quelle benevole che hanno segnato la vita di molte persone con Bartolomeo Schenone, benefattore di Lumarzo, paese posto in alta Valfontanabuona, dove ai tempi di alcune terribili malattie come il colera (ben otto epidemie di rilievo dal 1828 al 1886, due delle quali causarono la morte di centinaia di adulti su tutto il territorio) “decise di rimanere scapolo e dedicarsi anima e corpo a migliorare la condizione sociale dei suoi concittadini, soprattutto dei bambini.
Questo comportamento gli procurò non pochi nemici tra quelli che, al contrario, sfruttavano le diverse situazioni di disagio, ma ottenne di allontanare il mal vezzo dell'usura”. Oggi la sua opera è ancora viva. La sua residenza è una moderna struttura per anziani affidata ad una cooperativa di Vercelli, la Punto Service, una delle migliori in Italia in questo specifico campo. Non si stupisca il lettore per questa variazione d'uso di quello che ancora oggi viene chiamato l'asilo “perchè gli anziani - come ha recentemente ricordato il vice Sindaco Lercari - ormai molto più numerosi dei bambini, hanno bisogno dello stesso amore, delle stesse attenzioni riservate ai bambini che un tempo vi erano ospitati”.
Funzione di questo libro è però soprattutto quello di “ricordare ai giovani come era curato l'ambiente che dispensava frutti, fiori e tanti sapori; come era duro il lavoro dei campi e grande il rispetto della proprietà altrui nonostante la vita grama che si doveva affrontare ma con una solidarietà che, pur nel campanilismo, abbracciava le intere vallate come un'unica grande famiglia”. Si va quindi alla riscoperta dei borghi fantasma di Barego di Bargagli e Canate di Davagna grazie alla preziosa collaborazione della Preside dell'Istituto comprensivo Valtrebbia, dottoressa Rita Piddisi, che ha impegnato il personale insegnante e gli studenti dei plessi di Bargagli, Davagna, Torriglia e Rovegno a promuovere diverse iniziative indirizzate all'educazione ambientale, alla conoscenza e ad all'eventuale recupero di piccole e grandi cose che abbiano il passato fatto parte della storia o delle usanze del loro territorio.
Oggi, grazie a questo impegno, queste scuole parteciperanno al concorso “Il territorio che vorrei” indetto dal Collegio dei Geometri, proprio con lo studio di riqualificazione dei suddetti borghi. E poi “Canate che deriva dal latino cannetum poiché per secoli, al margine del rivo che si univa al Bisagno in località Cavassolo (Calzuolo), si raccoglievano le canne che all'epoca servivano per la creazione dei soffitti a canniccio della città”. Anche qui un seguito di leggende miste a realtà. Questa zona “fu adibita a confine dove mandare i colpevoli di piccoli reati, in maggioranza amministrativi, affinché lavorando trovassero modo di riscattarsi”; dalle cronache di Nicolò Pallavicino sei donne di Triora accusate di stregoneria, meno una che per evitare la tortura si buttò dalla finestra, furono poi inviate proprio a Canate e assieme agli uomini lì confinati crearono delle famiglie.
Prova ne è che a partire dal '600 si inizia a trovare il cognome Basura che nel dialetto di Imperia e dintorni significa “strega”. Per ambedue i borghi il progetto degli studenti è di rivitalizzarli in tutti i sensi. Ad esempio per Barego l'idea e di farlo diventare “borgo-vacanza dotato di tutte le strutture tecnologiche inserite nelle costruzioni restaurate in pietra e con energia ricavata da pannelli fotovoltaici o in alternativa da una centrale alimentata a biomassa esclusivamente boschiva è ispirata alla recente attivazione delle centrali di Campoligure e Rossiglione che forniscono calore e luce a scuole municipi e a numerose abitazioni di questi comuni.”
E chissà che tutto questo non diventi pratica per queste realtà oggi riscoperte proprio dai giovanissimi.
Il libro disamina anche l'odissea del Monte Antola negli anni Ottanta, prima di divenire Parco Regionale con una moderna funzione ed un nuovo rifugio grazie anche al Cai Ligure e alla Federazione escursionistica. Non può ovviamente mancare un piccolo richiamo all'arte culinaria: ecco quindi la ricetta della “zuppa sarvega” della “Marinin”, nonnina ultracentenaria, mista ai ricordi ancora vivi nei discorsi degli anziani “si falciava un fieno speciale gradito al bestiame per il sapore di salso del mare... e in tutto il comune di Bargagli erano presenti ben 1.200 mucche e 600 vitelli”. Altri tempi che possono però rivivere nei nostri cuori grazie a un libro come questo, uscito in libreria giusto in tempo per un intelligente acquisto natalizio.
Giansandro Rosasco
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