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cultura, storia locale
di Vittorio Rosasco | 02 Maggio 2012 | in categoria/e cultura storia locale
RANGHINELLI - L'abbandono del seminario, le mie lettere focose, l'incontro con un ateo e l'insegnamento ai sordomuti
Solo chi ha dovuto prendere nella vita decisioni radicali può comprendere il mio stato d’animo quando decisi di lasciare il Seminario, in lotta tra opposti sentimenti. Il malessere, i dubbi, le incertezze che mi assalivano in quel tempo necessitavano di una introspettiva analisi per capire se quella che avevo sempre ritenuta “vocazione” fosse invece una infantile infatuazione trascinata nel tempo con convinzione. Non c’erano fattori esterni (donne, divertimenti…). Fu un periodo tra i più tormentati della mia vita con una preoccupazione in più: il dolore che avrei dato a mia madre che avrebbe visto svanire il sogno della sua vita quello cioè di avere un figlio prete. Debbo riconoscenza imperitura al Rettore del Seminario Mons. Botto, in seguito Arcivescovo di Cagliari, che mi consigliò con paterno affetto, mi procurò il posto di lavoro come istitutore all’Istituto Assarotti per Sordomuti e salutandomi mi disse: “Vai, e se vorrai tornare, le porte per te sono sempre aperte”. Non rientrai nemmeno quando fui sollecitato dal Vescovo di Iesi mons. Pardini, coltissimo ed umano mio professore di filosofia che aveva avuto nei miei riguardi quel comportamento paterno del quale avevo tanto bisogno. Non rientrai perché, integrando gli studi fatti con quelli specifici pedagogici e psicologici propri delle magistrali, cominciavo a sentire il gusto dell’insegnamento. Avevo deciso, avrei fatto il maestro.
Ricordo il disagio di quando andai all’Istituto Sordomuti: avendo dismesso la tonaca e vestiti i panni “borghesi” avevo l’impressione di essere…nudo. All’Istituto Sordomuti Assarotti di Chiavari c’era Andrea Clerico, portiere, insegnante, bidello, segretario, factotum. Religiosissimo e umanissimo era soprattutto saggio e disponibile con una bella famiglia e tre figli tutti maschi. Fu lui che mi tolse dalla imbarazzante situazione in cui mi ero cacciato quando, inesperto e maldestro consegnai una lettera lirica e focosa ad una studentessa della quale mi ero invaghito che viveva in un’ala dell’Istituto diretto dalla suore “Cappellone”. L’unico posto in comune era la cappella dove mi recavo a suonare l’armonium, segnale dei nostri assolutamente ingenui incontri. Purtroppo la lettera cadde nelle mani delle suore che crearono un pandemonio.
Per un breve periodo ebbi come collega assistente il nipote di un importante monsignore, ragazzo buono ma vivace, molto più interessato a fantasticare e parlare di donne e di pulsioni giovanili che alla cura dei piccoli sordomuti. Resistette solo qualche mese e fu sostituito da un altro ragazzo che in breve tempo divenne caro amico. Si chiamava Giancarlo, aveva una grande sensibilità e si dedicava ai piccoli ricoverati con assoluta dedizione.
Durante questo anno insegnavamo a pronunciare le vocali, le consonanti e le parole essendo proibito il linguaggio dei segni che oggi è molto diffuso e che mi affascina quando viene trasmesso in televisione. Quelli che avevano un minimo di udito imparavano celermente mentre i sordi totali avevano grande difficoltà. Per insegnare la “F” ponevamo un batuffolo di cotone su di un tavolo e loro dovevano spingerlo soffiando. Il gioco piaceva molto e tanti riuscivano bene, altri anziché soffiare alitavano così il cotone non si muoveva provocando una grossa delusione.
Credetemi, l’esperienza con i sordomuti è stata bellissima anche se i primi giorni trovarmi, inesperto, con ragazzi di età diverse che ti guardavano quasi ad implorando un aiuto che non sapevo se potevo darglielo non è stato facile. La storia di Giancarlo ha inciso sulla mia vita suscitando in me ammirazione, riconoscenza e infine dolore. Ateo convinto, così mi raccontava, amante della natura e dell’arte, visitava musei, monumenti, chiese. Un giorno a La Spezia dove abitava, entrò in una chiesa per ammirarne le strutture, i dipinti, le statue. In una panca, inginocchiate in preghiera c’erano una signora e una ragazza talmente bella che ne rimase… fulminato. Con un pretesto si avvicinò e, come si dice, attaccò bottone ed estasiato riuscì ad ottenere un appuntamento. Nacque così la più straordinaria storia d’amore che io abbia mai sentito. Quel incontro cambiò completamente la sua vita perché Paola, questo era il nome della ragazza, riuscì a ”convertirlo”. Ne parlava in continuazione e illuminandosi tutto diceva che quello era un angelo mandato dal cielo. Ma la presenza di Giancarlo nella mia vita non termina qui e vi racconterò di lui, di quanto mi insegnò e della sua sventura anche il prossimo mese.
Vittorio Rosasco
Tratto da CORFOLE! del 5/2012, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
I commenti dei lettori
Dario.:
CHE VITTORIO FOSSE UN GRANDE MAESTRO, NON HO MAI AVUTO DUBBI. ANZI!
QUANTO HA APPENA SCRITTO, FA BEN CAPIRE IL PERCHE' SIA DIVENTATO "IL MIO PIU' GRANDE MAESTRO DI SCUOLA".
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