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cultura, edizione cartacea, storia locale
di Vittorio Rosasco | 03 Aprile 2012 | in categoria/e cultura edizione cartacea storia locale
RANGHINELLI - Le fedi requisite, le ringhiere smantellate per farne cannoni, le leggi razziali e le bombe: un incubo finito il 25 aprile
L’oro e il ferro alla Patria! Ma finivano nelle mani dei soliti arraffoni
Per me è deprimente ripensare agli episodi che hanno caratterizzato il periodo di guerra. Episodi amari come la campagna molto pubblicizzata “Oro alla patria” accolta con entusiasmo e fanatismo che toglieva alle donne le vere nuziali e i gioielli di famiglia. Gerarchi fascisti e non solo ne fecero incetta e chi aveva avuto delle perplessità gli furono confermate a fine guerra quando, per esempio, una signora esibì incautamente gioielli riconosciuti dalla proprietaria con conseguente gazzarra pubblica. Altra campagna attuata meticolosamente era “Ferro alla patria”. Tutte le inferriate, le recinzioni, le cancellate, anche quelle delle ville patrizie, spesso veri capolavori in ferro battuto di fabbri artigiani, vennero tagliate e fuse per…costruire cannoni! Anche le vendette personali durante o subito dopo la fine della guerra, mascherate da operazioni belliche, sia da parte di crudeli fascisti che di partigiani o pseudo tali furono molte. Un orrore. Non merita raccontare specifici casi. Racconterò invece il pesante clima che si viveva, i bombardamenti delle città anche piccole, l’afflusso massiccio verso le campagne di migliaia di sfollati, povera gente senza più nulla, affamati, consapevoli solo di aver salvata la vita.
Le leggi razziali, l’uomo nascosto nell’armadio e le bombe su Gattorna
Voglio raccontare un episodio non noto che s’inquadra nella vergognosa “legge razziale”. Aveva trovato rifugio da Genova una famiglia composta da una giovane signora il cui marito diceva essere in guerra, le due meravigliose figliolette di tre e quattro anni e il vecchio padre. Si fermava spesso a chiacchierare ai piedi della scala sul cortile interno dove c’era un po’ il raduno del vicinato commentando i fatti del giorno. Si accedeva da un porticato seminascosto attraverso il quale raramente passavano estranei. Quel pomeriggio improvvisamente apparvero due militari e la signora ebbe una visibile reazione di terrore. Alle pronte rassicurazioni dei militari meravigliati disse prontamente “Siamo tanto scossi”. Il motivo si seppe solo a guerra finita. Il marito, ebreo, per anni visse segregato in casa senza mai uscire e si nascondeva dietro ad un armadio quando c’era sentore di perquisizioni che per la verità non ci furono mai. Lo conoscemmo a guerra finita fresco in volto ma precocemente incanutito.
Diede molte preoccupazioni l’ordinanza di esporre sulla porta d’ingresso della casa l’elenco delle persone che vi abitavano perché c’erano proscritti rientrati dopo l’8 settembre che dovevano stare nascosti; ci furono momenti di panico quando fu bombardato con tre bombe il ponte di Gattorna e che fortunatamente non colpirono le case…
E venne finalmente il 25 aprile ma iniziò la mia guerra con una strana febbre
Dopo un anno esatto anche noi rientrammo in Seminario con la gioia di poter riprendere studi regolari. Nel gennaio del 1946 ebbi un attacco influenzale molto forte che mi lasciò uno strascico inconsueto: qualche linea di febbre il pomeriggio. Per timore che potesse nascondere una malattia ben più seria come la tubercolosi mi fecero diverse radiografie ai polmoni a distanza di mesi senza che risultasse nulla. Ricordo che l’ultima volta il radiologo, dott. Levaggi, rude e di maniere spicciole ma con un cuore grande così, mi disse: “Se vieni ancora ti prendo a calci nel…” Cosa poteva provocare quella febbriciattola? Mistero. Passarono i mesi senza soluzioni, senza particolari dolori sempre nell’incertezza finchè mia sorella decise di farmi visitare dal Prof. Biancheri, un luminare amico di una famiglia conoscente. La ricordo bene quella visita. Coricato sul lettino il professore mi palpò nel basso ventre e mi fece scendere. “Devo essere operato?” chiesi senza neanche sapere per cosa. “Se vuoi andare in paradiso, no” rispose secco. Subito ricoverato e operato dallo stesso professore mi diede il responso “Appendicite purulenta in via di perforazione”. Mi spiegò che a breve tempo si sarebbe trasformata in peritonite con conseguenze imprevedibili. E pensare che non avevo mai sentito dolore all’inguine né il senso di pesantezza che la malattia comporta. Da quel giorno sparì anche la febbre pomeridiana. Dopo il pericolo difterite della quale ho scritto qualche tempo fa, questo fu il secondo grave rischio di andare al Creatore ma altri ne avrò in seguito gravissimi come quando solo la responsabile fermezza di un dottore diagnosticò l’infarto, il tentativo di coronarioscopia, l’arresto cardiaco, l’operazione al cuore o quando dopo l’intervento alla prostata la pressione scese improvvisa pericolosamente o quando ebbi problemi di vista che si espletò in un grave forma di diabete mellito (840 di glicemia!) rischiando un coma diabetico. Tutto ciò mi portò a dire sorridendo che S. Pietro non mi voleva. Vivo sobriamente ma attivamente e forse nel disegno divino c’è che devo fare ancora qualcosa.
Tratto da CORFOLE! del 4/2012, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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