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    cultura

    30 Gennaio 2012 | in categoria/e cultura

    "Noi che sapevamo che aveva nevicato dal suono delle campane": Andreino, orgoglioso campanaro per 50 anni

    “Campann-a che ti sêunni in mëzo a-o verde  co-a voxe secolare e tanto cäa in questa paxe l’anima a se perde e i tò reciocchi invitan a pregâ”
    Ascoltando queste parole, che danno l’avvio all’Ave Maria Zeneize, basta chiudere gli occhi per ritornare con la mente ai tempi andati, quando il suono delle campane scandiva, oltre alle ore del giorno, i momenti più importanti della vita dell’uomo e della comunità. Tempi che Angelo Biasotti, da tutti conosciuto come Andreino, ricorda benissimo e che racconta con gli occhi lucidi di una gioiosa commozione. Perché lui quelle campane così importanti per la vita del suo paese natìo, Tavarone, le ha amate fin da piccolo, quando ancora bimbetto saliva sul campanile con il padre Ernesto  e restava a guardarlo suonare e a poco a poco ne carpiva i segreti. “Venivo da una famiglia di campanari: i miei nonni prima, mio padre e i miei zii- Giovanni e Corsilio, quello che suonava meglio di tutti – racconta sorridendo-. Quando avevo cinque o sei anni andavo sul campanile insieme a mio padre e mi appendevo alla corda della campana grossa e rimanevo lì sospeso.... Suonai per la prima volta nel 1943, a dieci anni: era il giorno della mia Prima Comunione”.
    Ed è proprio lui, nel 1945, a salire sul campanile del paese, insieme agli amici Nicola e d Enrico, per annunciare la fine della guerra: “Loro facevano andare la terza e la quarta campana, mentre io suonavo le prime due” ricorda. Andreino impara in fretta a suonare le quattro campane di Tavarone, con mani e piedi: per suonare un concerto di quattro campane, come quello di Tavarone, utilizzando la tecnica detta “delle cordette”, il campanaro poteva infatti tenerne 2 alle mani e 2 ai piedi oppure 3 alle mani ed 1 ai piedi. “Quando ancora le campane non erano sistemate sui cuscinetti, ma sulle bronzine- spiega Andreino- per faticare di meno, le cospargevo di olio d’estate e d’inverno, perché non gelassero, utilizzavo il grasso”.
    A determinare il suono delle campane non è solo la mano del campanaro: “Le tonalità variano da un concerto all’altro- spiega- ad esempio, per suonare bene, il batacchio deve essere almeno quattro dita distante dalla campana e più campane ci sono in un concerto, più il suono è armonioso”. E la differenza Andreino la sente subito quando passa dalle quattro campane di Tavarone alle cinque di Casarza Ligure, nel 1971: “Ogni paese ha il suo modo di suonare – ricorda- ad esempio a Tavarone, quando si suonava l’agonia, per le donne erano 9 rintocchi con il batacchio, per gli uomini dodici e poi la campana “grossa” a distesa; mentre qui a Casarza, dopo i rintocchi, le campane suonano tutte a distesa”.
    Gli oltre quarant’anni di attività di campanaro a Casarza, compiuti lo scorso anno, non cancellano i ricordi che Andreino ha del suo campanile e della sua infanzia, quando per capire che fuori la neve aveva imbiancato il paese, non serviva nemmeno alzarsi dal letto: ”Da bambini- ricorda, con gli occhi sorridenti- io e mio fratello ce ne accorgevamo senza guardare fuori, perché la campana piccola, girata verso il Monte Zenone e il Monte Porcile, nel suonare la messa feriale, aveva un suono più cupo”.
    Quando poi veniva la grandine, i campanari suonavano nella convinzione che il suono delle campane contribuisse ad allontanare i grandi eventi atmosferici e a salvare i raccolti. Nelle tante preghiere scritte sopra le campane si trovano spesso queste formule: "a fulgure et tempestate libera nos Domine"( “dalla folgore e dalla tempesta liberaci o Signore!), "recedat spiritus procellarum"(“ Si allontani lo spirito delle tempeste”) oppure "Defunctos ploro-nimbos fugo-festaque honoro" (“piango i defunti, allontano le tempeste, onoro le feste”). Per Andreino è stato un grande dispiacere alla metà degli anni Novanta, dover rinunciare a suonare il concerto di cinque campane della Chiesa di San Michele a Casarza, per cedere il passo alla tecnologia e limitarsi a schiacciare qualche pulsante per farle andare.
    Con la tecnologia l’arte del campanaro sembra ormai essersi sopito nelle pieghe del tempo: “Ho portato mio figlio con me sul campanile- dice Andreino- ma di imparare a suonare non ne ha mai voluto sapere”. Ma Andreino non si arrende e porta avanti la tradizione, insieme a tutti gli altri membri dell’Associazione Campanari Liguri, facendola rivivere all’interno dei raduni.  Andreino parla volentieri della sua esperienza e non ci sono parole per esprimere le emozioni che il suo racconto trasmette a chi è capace di ascoltare soprattutto col cuore. Perché il suono di quelle campane che ha suonato per la prima volta nel ’43 sono per lui familiari come la voce di una mamma per il suo bambino. Come la voce della sua signora che lo ammonisce amorevolmente per un biscotto di troppo e che in tutti questi anni lo ha affiancato, con dedizione, nella sua attività di campanaro e sacrestano, a Casarza. Senza trascurare, come la chiama lui, la “Vigna del Signore” che coltiva da molti anni e dalla quale ricava un’ottima bianchetta e, da buon “tavaronese”, l’attività di fungaiolo.
    Chiara Staderoli
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    Tratto da CORFOLE! del 1/2012, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata


     


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