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attualità
03 Ottobre 2011 | in categoria/e attualita
Quando i tedeschi colpirono il Levante con l'avanzata dei ‘mongoli': la vergognosa pagina degli stupri come ‘arma di guerra'
Oltre la Val d’Aveto imboccando la strada che porta a Fontanigorda si oltrepassa il Monte dell’Antola e presto ci si ritrova in Val Borbera nei piccoli borghi di Cantalupo Ligure, Cosola, Rocchetta Ligure e Cabella. Diversamente seguendo la strada da Santo Stefano D’Aveto a Ferriere raggiungiamo in poco tempo Bobbio e la Val Trebbia. Che cosa hanno in comune queste verdi valli a un passo dalla Val d’Aveto sull’Appennino ligure-piemontese-emiliano? Un’unica ferita profonda segna la memoria dei numerosi anziani che hanno vissuto l’ormai lontano inverno del 1944, quando i soldati nazifascisti, con l’intento di catturare i numerosi partigiani nascosti nella vallata e di punire le popolazioni locali che avevano prestato loro aiuto, schierarono tra le fila del loro esercito i cosiddetti “mongoli”. In realtà i mongoli altro non erano che prigionieri russi dai marcati tratti orientaleggianti: calmucchi, uzbechi, georgiani, ucraini arruolati dall’esercito tedesco tra 1941 e 1942 dopo la caduta di Leningrado; essi costituivano la 162° divisione Turkestan dell’esercito tedesco.
I ‘mongoli’ sono diventati tristemente famosi nell’ambito della storiografia contemporanea a causa dei numerosi stupri di gruppo compiuti barbaramente ai danni di donne di tutte le età: da bambine di dodici anni ad anziane di ottant’anni. Lo stupro di guerra veniva utilizzato già allora come una vera e propria arma, un mezzo di intimidazione. Le storie di queste donne che emergono da alcuni diari e testimonianze sono tremende: ragazzine costrette a subire abusi da più uomini, donne in evidente stato interessante ugualmente violate, anche alcuni uomini subirono la stessa violenza…
Ricordano le testimonianze: «A Cornareto, madre e figlia in una stessa camera sono costrette per tutta una notte a subire le violenze di un gruppo di esseri immondi che si alternano nell’abusare delle due donne sole e indifese».
I casi di violenza sono numerosi, si parla di più di un migliaio tra le alture delle province di Pavia, Genova, Alessandria e Piacenza, anche se ad oggi purtroppo non si hanno dati ufficiali e precisi. Eppure famosi storici come Angelo Del Boca, Giampaolo Pansa, Giulio Guderzo hanno condotto numerose ricerche in merito. Si tratta di un dramma tenuto nascosto da intere comunità, una vergogna immensa mai elaborata; tutt’oggi le persone si rifiutano di raccontare questa pagina di storia; solo dopo molte ore di intervista emergono alcuni ricordi, particolari agghiaccianti. La vergogna, il senso del pudore hanno avuto la meglio.
Piercarlo Tosonotti, all’epoca dei fatti un giovinetto, mi racconta le reazioni “morali” della gente di Cabella Ligure dinnanzi alle giovani stuprate: «Erano altri tempi, c’era la morale: la colpa era quasi sempre della donna che non si era nascosta bene…Una donna giovane che aveva subito violenza dai mongoli non trovava marito, la gente allora diceva:- L’han manezzä i munguli chi sün marsî».
Le donne abusate vengono etichettate come “mongolate” così come nel basso Lazio erano state chiamate “marocchinate”; ma questa è tutta un’altra storia…
Eppure gli stupratori non erano solo ‘soldati dello stupro’. Il signor Tosonotti ricorda di aver sentito chiaramente un soldato vestito, oserei dire mascherato da mongolo, parlare con spiccato accento dialettale italiano; chissà quanti connazionali e tedeschi si sono macchiati delle stesse colpe. Numerosi i partigiani ed i parroci che hanno scritto nelle loro memorie riguardo questi eventi; questi ultimi spesso nascondevano in canonica le ragazze del paese terrorizzate e cercavano senza troppa fortuna di porre un freno a queste sevizie, magari facendo da intermediari con i superiori tedeschi. Don Giovanni Grossi di Rocchetta Ligure ricorda: «Si volevano portare via le povere suore: “Voi essere mogli dei partigiani”, “No, noii essere Suore!”» Secondo molte testimonianze neppure le suore furono risparmiate.
Questa orrenda pagina rimane ingiustamente intrisa di silenzio e vergogna, se qualcuno leggendo questo brevissimo articolo ricordasse qualche episodio o qualche racconto tramandato nel tempo potrebbe collaborare alla ricostruzione di questo passato che appartiene a tutti noi. Le ricerche in merito sono ad oggi aperte, perché la vera vergogna è dimenticare.
Maura Bregante
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Tratto da CORFOLE! del 10/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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