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attualità
08 Settembre 2011 | in categoria/e attualita
Di quando si viaggiava il mondo in autostop e Chiavari era Las vegas: Franco Pogioli ci racconta di un'altra gioventù e col suo libro ‘Un mondo scomparso' ci mostra un Levante più vivo di oggi
Franco Pogioli, classe 1928, con “Un mondo scomparso” edito da Bastogi nello scorso marzo all’interno della collana I Ciottoli ideata dall’Acli della parrocchia di Santa Sabina di Trigoso, compie un viaggio nel passato, ripercorrendo tutte le usanze, i mestieri e le tradizioni che caratterizzavano la quotidianità di tutte le famiglie. Rievoca la visita del Duce a Sestri nel maggio del 1938, un evento emozionante soprattutto per i fanciulli di allora che “vivevano quotidianamente nell’esaltazione di quel periodo”. Ricorda il vecchio cinema Bardilio oggi inesistente, i cercatori d’oro dopo le mareggiate, le spose che dopo la cerimonia si affacciavano al balcone di casa per gettare i confetti, i ragazzi “portapane” che sfrecciavano sulla loro bicicletta con il carrettino. Ha iniziato a scrivere fin da ragazzo; il suo diario è oggi custodito all’Archivio diaristico di Pieve Santo Stefano.
Come ha conciliato il lavoro di operaio con la grande passione per la scrittura?
Ho iniziato a scrivere quando vivevo a Rapallo, c’era un concorso letterario così ho mandato un racconto sul mare, incoraggiato anche da Maria Bellonci, l’ideatrice del premio Strega, ed arrivai al secondo posto. Lì ho poi conosciuto anche l’editore Palombo, il quale mi ha invogliato a scrivere numerosi racconti di fabbrica pubblicati sul quotidiano “Il Lavoro” dal 1956 al 1976 dove ho pubblicato anche i miei racconti di viaggio. Nel 1967 ho vinto un altro premio letterario, sempre incoraggiato da Palombo, nella cui giuria spiccavano personaggi illustri come Carlo Cassola e Carlo Bo. Vinsi ben cinquecentomila lire! Erano come tre mensilità in cantiere. Nel 2003 ho riunito le memorie e le esperienze vissute in fabbrica in “Una vita in tuta blu”, pubblicato nel 2004 a cura dello Spi-Cgil di Genova e ripubblicato nel 2008 con alcune aggiunte.
Da ragazzo ha vissuto una particolare esperienza da “autostoppista”, un modo di viaggiare oggi dimenticato; ci racconti.
Nel 1956 ho fatto l’autostop da solo per l’Europa, girando Svizzera, Francia, Belgio, Germania e Olanda. A Parigi, all’interno della cittadella universitaria mi sono spacciato per uno studente! L’anno dopo io e un amico siamo stati in Russia, a Mosca dove c’era il Sesto Festival della Gioventù; l’Italia contava una delegazione di trentamila persone. Mentre nell’estate del 1958 ho visitato Londra, ospitato da un amico. I giornali di allora, i rotocalchi, definivano l’autostop come ‘un moderno concentrato di imprevisti, di avventure e di romanticismo’, per me era più che altro il sistema più economico per viaggiare. Vi erano delle vere e proprie regole per lo stop, come non limitarsi alle sole auto ma servirsi di qualsiasi mezzo: uno svedese riuscì ad arrivare ad Amburgo con un passaggio aereo! Era inoltre sconsigliato fare l’autostop di domenica poichè di solito le auto ospitavano tutta la famiglia, fermarsi a chiedere un passaggio alla fine di una città oppure su una strada in salita; difficilmente qualcuno si sarebbe fermato! Molti automobilisti ospitavano volentieri; ricordo che un ragazzo proveniente da Portofino in cambio mi chiese di parlargli per tenerlo sveglio.
Com’erano a metà degli anni cinquanta Londra, Amsterdam, Bruxelles?
A Londra Piccadilly Circus era già scintillante come un arcobaleno di luci e reclames, un crogiuolo di razze disparate che s’intersecano sui marciapiedi. Ricordo le interminabili code dinnanzi ai cinema e ai teatri, i negozi della catena Lyon’s dove si potevano comprare i caldi “hamburger”, la pesante aria medievale che si respirava alla Tower of London e poi i tanto attesi weekend! Nei tradizionali pubs alla sera scorrevano fiumi di birra e si infrangeva per una sera, come ancora oggi, la rigida riservatezza inglese. Amsterdam all’epoca contava novecentomila abitanti, quattrocentomila biciclette e un numero imprecisato di topi. Una considerevole presenza di indonesiani mischiata agli abitanti locali ed ai marittimi delle cento nazionalità, contribuiva a darle una tinta esotica. Non era già più la città antica dei mulini a vento raffigurata sui vecchi libri. La sera tra i tabarins dalle luci sfavillanti, le luminose insegne, stavano appoggiate agli stipiti delle porte o sedute nelle poltrone dietro alle vetrine numerose prostitute. A Bruxelles invece mi sentivo a casa: parlavano francese ed io lo conoscevo benissimo. Ricordo quel candore di cittadina di provincia, il profumo all’ora di pranzo dei “moules et fries”, i muscoli cotti in umido insieme alle patatine fritte proposti in tutte le trattorie insieme a bicchieroni di birra. Ricordo nell’elegante Place de Broukère una grossa réclame dell’Olivetti. Mentre a Parigi il museo Grevin era una tappa obbligatoria per il turista in cerca di stranezze, qui infatti numerose statue di cera rappresentavano personaggi del passato e del presente; ricordo alcuni assi dello sport dell’epoca come il piccolo Cohen in tenuta da ring, la snella tennista Jacqueline du Bief. Oggi il campione di basket Tony Parvero il calciatore Zinedine Zidane hanno preso il loro posto.
Ma torniamo a Riva, ; cosa le manca di più di quel “Mondo scomparso”?
Mi manca tutto, certo pur non rinnegando la modernità. Riva era un paesone, mi manca l’intimità di un tempo. Sono nato in Vico Chiuso dietro alla Chiesa e lì c’era il centro con le numerose osterie: il Tirreno, la Colorinda, la Gitin, i Pissarello tutte intorno al Cantiere; la mensa non esisteva ancora. La spiaggia era tutta nostra, c’erano solo dieci cabine dell’albergo. Ci divertivamo con poco, c’era un solo telefono pubblico e per chiamare bisognava contattare prima il centralino. Per noi Chiavari era Las Vegas! C’erano cinque cinema tra cui l’Astor, il Cantero, il Centrale e molte sale da ballo come il Giardino, la Cirenaica in estate. La domenica alle 14:30 partivamo con la corriera piena!
Maura Bregante
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Tratto da CORFOLE! del 9/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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