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attualità
18 Agosto 2011 | in categoria/e attualita
IL PIACERE DI LEGGERE - ‘Gli incerti battiti del cuore': in questo bel romanzo un medico chiavarese mette la sua esperienza sul campo tutte le emozioni, le sofferenze, le lotte per i diritti dei malati
“Trent’anni di camera operatoria, migliaia di interventi di ogni genere dovrebbero avermi messo al riparo da queste tempeste emotive. Invece no. Ogni volta è come se fosse la prima. I battiti del cuore accelerano, la bocca si secca, le dita sono scosse da un leggero tremito”.
E così in poche righe quegli incerti battiti del cuore che danno il titolo all’ultima fatica narrativa di Luigi Rainero Fassati si svelano agli occhi del lettore, subito dopo essere stato catturato dalla copertina rossa, sulla quale fa bella mostra di sé uno stetoscopio. Fassati non è nuovo a questo tipo di scrittura: da chirurgo, esperto nel trapianto di fegato, professore ordinario di chirurgia all’Università statale di Milano e Direttore del Dipartimento di chirurgia generale e dei trapianti del Policlinico di Milano, oltre a quattrocento e più pubblicazioni scientifiche sulle più prestigiose riviste nazionali e internazionali, non si è accontentato di indagare soltanto le patologie del paziente, preferendo entrare in relazione con l’uomo piuttosto che con il caso clinico: “nella mia famiglia- racconta Fassati- nessuno era diventato medico: ho potuto conoscere questo mondo solo entrandovi , prima, come studente e, poi, come professionista; un professionista che ha la possibilità di conoscere il paziente nella sua nudità, con i suoi sentimenti e le sue paure, completamente spogliato di tutti quegli orpelli che “indossa” nella vita quotidiana”. In Gianni Landi, protagonista del libro, c’è molto dell’esperienza di Fassati, forse più di quello che le parole sulla carta riescono a trasmettere: lo si legge nei suoi occhi e nelle pieghe della sua espressione, mentre a cuore aperto, snocciola, uno dopo l’altro, gli episodi narrati: da Vivide a Giulio la chiave di volta delle vicende è il rapporto che si instaura tra medico e paziente: “ho viaggiato molto e ho imparato moltissime tecniche all’avanguardia nel trapianto di fegato- prosegue- ma con il passare del tempo, la mia attenzione si è concentrata sempre meno sugli aspetti tecnici e sempre di più su quelli etici: durante la mia carriera medica, ho vissuto la metamorfosi del rapporto tra medico e paziente: dagli anni in cui il dottore era considerato una divinità fino ad arrivare ai giorni nostri, dove a contare è la volontà del paziente, correttamente formata ed espressa nel consenso informato”.
L’importanza della volontà consapevole del paziente, anche nei casi in cui lo stesso sia chiamato a scegliere tra la vita e la morte. Il pensiero corre subito a temi di grande attualità come l’eutanasia, l’accanimento terapeutico e la terapia del dolore nei malati terminali: “Ippocrate sosteneva che sedare il dolore di chi soffre è una cosa divina-ricorda Fassati, ripercorrendo mentalmente le vicende vissute in prima persona- ritengo sia compito del medico aiutare il malato , se del caso, anche a morire e questo mio modo di pensare ha creato spesso contrasti con i colleghi; personalmente, sono contrario all’accanimento terapeutico e favorevole al testamento biologico: deve essere il paziente e nessun altro a decidere in che modo morire”.
Ancora una volta, per rendere al meglio il suo pensiero, Fassati ricorre ad uno dei suoi personaggi: è Bepi un pittore che ha trovato un rifugio letale tra i fumi dell’alcol: una vicenda che l’ha coinvolto personalmente. La riflessione che il dottor Landi fa seguire alle parole del paziente (“lasciami morire in pace”) è molto chiara: “Non bisogna mai andare contro al volontà del malato, come succede in questa vicenda, dove a vincere è la caparbietà del dottor Landi che vuole salvare a tutti i costi l’amico pittore, ma alla fine ciò che gli rimane, nonostante lo sforzo di decidere in maniera obiettiva in base alle esigenze del malato e alla deontologia professionale, è il ricordo dell’ultimo sguardo di Bepi, con gli occhi sbarrati, arrossati e lacrimanti che non hanno bisogno di parole per esprimere il disprezzo, la rabbia e l’odio che prova nei confronti del medico che non ha rispettato la sua volontà di morire”.
Il rapporto tra medico e paziente deve essere basato sulla verità, quella verità che non è tanto drammatica da togliere ogni speranza e che consente all’ammalato di vivere serenamente anche nella fase terminale, come nel caso di Marilena. Perché, poi, alla fine, “…la medicina non è una scelta esatta: anche le statistiche tante volte sbagliano perché la natura umana troppo spesso è misteriosa, imperscrutabile, imprevedibile”.
Tratto da CORFOLE! del 8/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
I commenti dei lettori
anonimo:
Non è chiavarese! E' milanese
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