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attualità
03 Maggio 2011 | in categoria/e attualita
1° maggio: tutti in festa, ma sapete perche'? Di quando si cantavano le ‘cantaele' o si portava in strada di tutto, perfino i wc!
La Festa del lavoro che si celebra il 1° maggio coincide con l’antichissima festa di Calendimaggio, diffusissima in Italia ed in Europa sin da epoche precristiane. La Festa del lavoro risale al 1889, quando tale fu proclamata in tutto il mondo dal movimento socialista, a ricordo ed in onore delle vittime di un attentatato in un comizio sindacale: nel 1886 a Chicago una bomba era scoppiata il 1° maggio tra i poliziotti presenti, ne derivarono tafferugli e scontri tra operai e forze dell’ordine che causarono una decina di morti da ambo le parti.
Dopo che per decenni la festa era stata il simbolo della rivoluzione socialista, essa assunse gradatamente i connotati di festa dell’operosità umana, non senza perdere completamente, tuttavia, una marcata colorazione politica. La Chiesa, nel 1956, la accettò come festa del lavoro: Pio XII consacrò la festa a San Giuseppe, artigiano, proponendone il modello al lavoratore cristiano. Ma il 1° maggio rappresentava nelle civiltà passate il trionfo della luce sulle tenebre, l’inizio delle attività del contadino sulla terra e del periodo di più intenso lavoro; giustamente esso veniva festeggiato con un saluto al lavoro, alla bellezza della natura e della primavera.
E queste feste trovavano la loro più classica manifestazione nei canti popolari, che in Liguria ebbero il nome di “cantaele”, canti itineranti di casa in casa, portando rami fioriti alle ragazze. In certi luoghi del levante ligure si narra che i rami fioriti erano di ciliegio per le ragazze pie, di nespolo per le serie e virtuose, mentre alle ragazze più leggere e di dubbia fama erano destinati rami di acacia. A Sarzana i giovani giravano per la città cantando tutta la notte, all’alba le ragazze uscivano di casa nei costumi tradizionali,eleggevano il re e la regina di maggio e per tutto il giorno si festeggiava con balli e banchetti.
Aidano Schmuckher ricordava anche una strana usanza per la notte del 1° maggio nel paese di Giustenice, nell’entroterra savonese, dove, ad un grande albero innalzato in piazza, venivano accostati gli oggetti più disparati che raccoglievano lungo le strade del paese, magari dimenticati davanti alla porta di casa. Il giorno dopo era grande baraonda tra i legittimi proprietari per ricuperarli. E di quest’uso, diffuso anche nell’entroterra levante ligure, ce ne ha parlato anche un’anziana signora di Sessarego di Bogliasco, che ricorda come, in quella notte, i ragazzi del paesino legassero su due grossi olmi situati sulla piazza della chiesa tutti gli oggetti che trovavano nelle stradine della frazione: tavolini, giare, gabbie. Un anno portarono in piazza pure la tazza di un gabinetto, che, come noto, un tempo sorgevano tutti fuori delle abitazioni. A volte gli scherzi diventavano anche più pesanti, come quando fu completamente murata, con mattoni e cemento la porta di casa di un malcapitato o quando fu ripulita una stalla dal fieno per le mucche. Erano tempi, quelli, parliamo di settanta, ottanta anni fa, che ogni famiglia di Sessarego possedeva almeno due mucche ed il fieno si raccoglieva con grande fatica sulle “comunaglie”, i prati d’altura di proprietà comunale che venivano assegnati con sorteggi ed aste pubbliche ai singoli contadini.
Pier Luigi Gardella
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Tratto da CORFOLE! del 5/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata
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