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    cultura, edizione cartacea, storia locale

    di Maura Bregante | 01 Marzo 2011 | in categoria/e cultura edizione cartacea storia locale

    Dal ‘titilin' o a tirare lo ‘sciabegottu' - Dalla pescivendola alla ricamatrice di corredi per i ricchi: come lavoravano le nostre nonne

    Dal ‘titilin' o a tirare lo ‘sciabegottu' - Dalla pescivendola alla ricamatrice di corredi per i ricchi: come lavoravano le nostre nonne

    Mi piace iniziare a trattare questo argomento partendo da un mio personale ricordo d’infanzia che risale agli ultimissimi anni ’80 quando alla mattina prima di andare alla scuola materna, io e mia mamma osservavamo e scambiavamo qualche parola con un’anziana signora dai capelli ormai bianchi, curva, che spingeva un carretto di legno azzurro pieno di pesce fresco appena pescato. Erano gli ultimi anni in cui le pescivendole con i loro carretti o cestini detti “paneè” o “corbelettè” passavano per le vie di Riva gridando: «Pesci vivi, pesci freschi, acciughe, sardine» Poi veniva il tempo dei bianchetti e allora con voce fiera e squillante vociavano: «Gianchî, gianchî!». In paese le pescivendole erano molto conosciute: la Guastalla vendeva il pescato a Ponente insieme  alla Mary, la Silla a Levante, mentre la Amelia verso via Sara, Contrada Pestella. L’attività lavorativa delle donne di un tempo, tra la seconda guerra e dopoguerra, aveva un legame strettissimo con tutti gli aspetti legati alle attività marinaresche. Scopriamole.
    Dai Titilin a lavorare le reti e gli ami della prima fabbrica nazionale
    Il Retificio dei fratelli Stagnaro detti i “Titilin” di Riva Trigoso operativo fin dai primi anni del 1900, contava numerose operaie, spesso anche ragazzine di tredici o quattordici anni, che con pazienza lavoravano le reti e i loro derivati, filet, lampare, rete a ciàncialo, tramagli, tendine, reti per ogni tipo di pesca insomma. Apparteneva ai fratelli Stagnaro anche la prima fabbrica di ami da pesca nazionale, aperta nel 1936 a Ponente ed anche qui le lavoratrici erano in gran parte donne.
    A salare le acciughe nele arbanelle di terracotta, chiuse con l’ardesia
    Alle mogli dei pescatori solitamente spettava il compito di preparare le acciughe sotto sale. Un’usanza legata all’alimentazione che è rimasta praticamente immutata. All’epoca la salagione delle acciughe veniva vissuta come un vero e proprio rito tramandato di madre in figlia, poiché erano considerate un alimento indispensabile alla base nella preparazione di molte pietanze. Una differenza riguarda le cosiddette arbanelle, che un tempo erano in terracotta smaltata mentre oggi si trovano in vetro. Le donne, per chiudere queste arbanelle, erano solite utilizzare un dischetto di ardesia o marmo e alcune grosse pietre raccolte direttamente sulla spiaggia.
    A prendere la legna per i ronfò o a tirare lo “sciabegottü”
    Alcune giovani ragazze, per sbarcare il lunario, salivano sui boschi nei pressi di Baffe in cerca di legna da bruciare nei cosiddetti “ronfò” o nelle stufe di ghisa. Dopo molte ore di cammino e fatica, ripercorrevano la strada, ormai in discesa  verso borgo Renà con numerosi fasci di legna. In piazza gli uomini sceglievano la legna migliore per potersi scaldare durante i mesi invernali.In cambio di qualche pesce fresco invece, nel borgo di Renà, le più giovani venivano “ingaggiate” dai pescatori per tirare sulla spiaggia il cosiddetto “sciabegottü” ossia un tipo di rete particolare che veniva tenuta per alcuni giorni nelle acque della piccola baia.
    A stendere la biancheria.. sulla sabbia
    La vita delle casalinghe era tutt’altro che semplice. A causa della mancanza di acqua corrente le donne, sistemata la cesta con i panni sporchi sopra la loro testa, si recavano al fiume Petronio, dove con l’ausilio di una tavola di legno inclinata insaponavano energicamente il bucato. Dopo aver sciacquato più volte i panni alcune donne, non disponendo di finestre o terrazzi adatti, stendevano la biancheria direttamente sulla sabbia della spiaggia utilizzando come “mollette” dei grossi sassi poggiati sugli angoli per evitare di farla sollevare dal vento.
    Quando al posto del gas si usavano.. gli aghi di pino
    La cucina era il fulcro della casa per la donna e i suoi bambini; qui si stirava, si cuciva, si lavorava la maglia e si preparava da mangiare. La preparazione del pasto richiedeva molto tempo; infatti mantenere il focolare acceso era tutt’altro che semplice poiché allora i fuochi erano a carbone. L’accensione avveniva al mattino presto per preparare la colazione: sulla griglia si poneva un mucchietto di aghi di pino e sopra un pezzetto di carbone. Acceso il fuoco, veniva posto sul fornello il “diavolo” un grosso imbuto metallico che permetteva di indirizzare il fumo attraverso la cappa soprastante; allo stesso tempo la donna agitava la banderuola davanti al focolare per facilitare l’accensione del carbone sotto le fiamme degli aghi secchi. Le ragazzine fin da piccole venivano educate alla gestione domestica, spesso aiutavano le madri nelle faccende di casa, oppure accudivano i fratelli più piccoli. Alcune donne ricordano ancora oggi come da bambine sentivano il grande peso di responsabilità nei confronti dei loro fratelli; spesso infatti erano loro ad essere punite dalle madri per le marachelle combinate dal loro fratellino.
    E dopo la scuola.. tutte a ricamare!
    Tra gli anni ’50 e ’60 alcune ragazze dopo la scuola dell’obbligo venivano indirizzate alla scuola di ricamo presso le suore della Presentazione di Maria al tempio di Riva Trigoso. Suor Giulia insegnante di ricamo e cucito è rimasta tutt’oggi nei ricordi di molte donne grazie all’abilità e alla raffinatezza con la quale confezionava pregiati corredi molto richiesti ed apprezzati dalle famiglie allora benestanti. Le suore insegnavano alle ragazze a ricamare fazzoletti, grembiulini, tovaglioli ma anche tovaglie e corredi pregiati che a seconda della particolare lavorazione richiedevano ore e ore di impegno.
    Si tratta di antiche usanze e mestieri femminili inseriti nel contesto storico-sociale di allora dove le donne, seppur raccontando le loro esperienze con un sorriso, non avevano purtroppo molte opportunità di scelta.

    Tratto da CORFOLE! del 3/2011, con 25.000 copie gratuite: la testata più diffusa del Levante © Riproduzione vietata


     


    I commenti dei lettori
    Marisa Maschio:

    E' bellissima ma soprattutto istruttiva questa vostra spolverata su di un passato
    abbastanza recenre, se vogliamo, e sarebbe bello che ci fosse un angolo costante
    in codesta Vostro bel giornale, dedicato alla MEMORIA della realtà storica e socio-culturale - territoriale e non, da cui tutti discendiamo.


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