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    cultura, edizione cartacea, storia locale

    di Vittorio Rosasco | 01 Agosto 2010 | in categoria/e cultura edizione cartacea storia locale

    RANGHINELLI: La meisa, il canelu, il bancà, la muschea e le altre ‘comodità' delle case di una volta

    RANGHINELLI DI VITA: a cura di Vittorio Rosasco
    RANGHINELLI: La meisa, il canelu, il bancà, la muschea e le altre ‘comodità' delle case di una volta

    Riprendiamo questi ‘ranghinelli di vita’ ossia la rassegna ricordi delel mia giovinezza, raccontando di come erano i nostri ‘focolari’: sono passati pochi decenni da quando si viveva in case vecchie e prive di comodità, ma è come se fossero secoli. Vi descrivo la mia per farvene un’idea. Il pian terreno era occupato dalla cantina con tutti gli attrezzi necessari per la lavorazione dell’uva come il torchio, le botti di varia grandezza, le damigiane, i tini. Fare il vino non era solo un lavoro ma un rito tra i più importanti, curato con pignoleria perché il vino voleva dire allegria, ebbrezza spesso eccessiva: bere e ubriacarsi era un quasi normale passatempo. Al sabato e alla domenica sera era facile imbattersi in anziani e meno anziani borbottanti, urlanti e barcollanti, spettacolo deprimente ancora vivo nella mia memoria.
    Al pian terreno c’era anche la stalla con relativo spazio per il deposito dell’erba, del fieno e della foglia per la lettiera. Un canaletto convogliava l’ urina degli animali in una pozza che veniva periodicamente svuotata e usata come fertilizzante. Al primo piano c’era una grande sala col pavimento in tavolato di castagno a tratti sconnesso. Era spoglia, arredata soltanto di un tavolo di legno grezzo, qualche sedia, una credenza, e la indispensabile “meisa” o madia dove s’impastava la farina con al fianco un foro per il “canelu” il matterello; c’era il “bancà”, cassettone, dove si conservavano farine varie, la “muschea” o dispensa fatta di griglia per tenere al fresco i cibi (il frigorifero di allora!), qualche stampa della Madonna e di Santi, e l’immancabile calendario di “Frate Indovino”.
    Dalla sala si accedeva alle due camere tramezzate da paratia di legno dove c’era un armadio, un letto matrimoniale in ferro battuto (che abbiamo ad un certo momento svenduto allo straccivendolo perché considerato “nido di polvere” e che oggi varrebbe un capitale!). Il letto non aveva griglie ma tavole sulle quali poggiava il “saccun” un sacco di stoffa grezza ripieno di foglie secche di pannocchia di granoturco accuratamente selezionate in estate. Nel rifare i letti queste foglie venivano rovistate attraverso dei buchi per migliorare….la morbidezza! I materassi erano di lana e venivano periodicamente rifatti. Le griglie vennero molto tempo dopo e considerate un evento. Nell’altra stanza il letto era in legno e c’era anche una specie di baule con la poca biancheria. Lo stesso era più o meno al secondo piano. La cucina era il locale più vissuto perché usato anche da soggiorno. Il focolare, un acciottolato rialzato dove si accendeva il fuoco era posto al centro e sovrastante c’era il graticcio (grei) per l’essiccazione delle castagne dal quale pendeva una catena e appesa la pentola per la cottura delle vivande; in un angolo un rustico tavolo, attorno lunghe panche. I muri erano neri grondanti fuliggine specie nei periodi di pioggia. Si viveva avvolti nel fumo. Una paratia in legno divideva il focolare dal reparto servizio con il lavello, il recipiente per l’acqua che veniva giornalmente attinta alla fontana non essendoci acqua corrente, la “vascelea”, unico mobile semplice dove si riponevano i piatti, i mestoli e le stoviglie varie.
    Normalmente i servizi igienici non erano in casa ma all’esterno, sotto una baracca di frasche. Consisteva in una buca con delle assi sopra che veniva periodicamente svuotata e il ‘materiale’ considerato ottimo concime per colture, piante, fiori. Noi eravamo privilegiati, pensate, l’avevamo sotto la scala esterna, rivestito di tavole, con la porta “automatica” che si apriva e chiudeva mediante un peso attaccato a una fune che scorreva con una carrucola. Magia dell’invenzione! Ne usufruivano molti.
    Non so se riuscite ad immaginare l’illuminazione con il lumino di latta ad olio, lucerne a tre o quattro beccucci in genere di ottone che venivano trasportate da una stanza all’altra: era sempre un fioco e tremolante piccolo bagliore. Quando si doveva uscire all’aperto per andare nella stalla o nella cantina si usava la lanterna, specie di gabbia metallica munita di vetri al cui interno c’era il lumino ad olio o petrolio. Nelle case dei benestanti c’erano anche bellissimi lumi a petrolio, ma non frequenti.
    Insomma, sembra davvero di parlare di secoli fa e a pensarci bene... in effetti era il secolo scorso!


     


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