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attualità
01 Aprile 2009 | in categoria/e attualita
Il Secolo XIX del Levante: da 50 anni nel cuore della gente - Gli esordi, la storia, le persone, le crisi e i progetti di una realtà unica nel suo genere
Un territorio complicato e strano quello del Levante, pieno di opposti e contraddizioni: si sente una provincia senza esserlo, è esteso ma frammentato, è mare ma anche monti, è vita di riviera ma anche lavoro duro di campagna, è ville e cascine, impianti sciistici e porti, è mete di lusso e case sperdute, è mugugno e voglia di riscatto. Racchiudere tutte queste sfaccettature tra le righe quotidiane è uno sforzo immane perché nulla può essere trascurato, nessuna sfumatura persa, nessuna persona dimenticata. Ancor più complicato in questo angolo di mondo dove una spiccata riservatezza limita i rapporti tra le persone. Premesse doverose per comprendere appieno il lavoro che la Redazione chiavarese, punto di riferimento di tutto il Levante, compie ogni santo giorno per essere utile, fare informazione, stare tra la gente per la gente e rimanere sempre vicina al territorio. Era il 20 marzo 1959 quando questa impresa ebbe avvio in Piazza Mazzini, ora alla guida della nuova sede in Via Nino Bixio c’è Roberto Pettinaroli, col quale abbiamo fatto questa bella chiacchierata per raccontarvi chi c’è dietro il quotidiano ligure per eccellenza
In mezzo secolo di cose ne sono successe: ricordiamo alcuni tra i principali fatti che il Secolo ha scoperto, denunciato, raccontato per primo, rivelandolo alle persone e imprimendolo nella storia di questi luoghi
Non è facile risponderecondensando in poche battute mezzo secolo di storia. E citare alcuni dei piccoli o grandi scoop del passato, i loro autori, farebbe inevitabilmente torto a tutti gli altri. Anche perché la selezione è sempre frutto di un'analisi soggettiva: è stato più importante l'aver rivelato per primi la scoperta di un covo "caldo" delle Br a Rapallo, negli anni di piombo, o piuttosto l'inchiesta giudiziaria che negli anni Ottantasi abbatté come uno tsunami sul Comune di Chiavari, travolgendo l'allora amministrazione comunale? Meglio allora dire così: i cronisti che si sono avvicendati in redazione in questi 50 anni hanno sempre inseguito un duplice obiettivo: essere i primi a coprire un fatto e i più rigorosi e documentati nel riferirlo.
Restare 50 anni nel cuore della gente cavalcando gli enormi cambiamenti avvenuti è molto difficile, come si è evoluto l’approccio della Redazione?
Qualcuno ha scritto che il giornalismo è la storiografia dell'istante.L'unico modo per raccontare la realtà è viverla: ed è quello cheIl Secolo XIX ha sempre fatto, anche a Chiavari, da quandoè stata aperta la redazione. Accompagnando giorno per giorno le trasformazioni del territorio, lo sviluppo sociale, civile, culturale di questa gente. Con l'ausilio dei mezzi tecnologici che, via via, si sono resi disponibili: dal telefono a rotella al "fuori sacco" (una sorta di posta prioritaria ante litteram), dalla telescrivente ai primi, rudimentali computer fino all'emittenteradiofonica del nostro gruppo editoriale, Radio19, ainternet e agli smartphone. Ma senza mai dimenticare che, al di là delle diavolerie elettroniche, resta insostituibile un solo tipo di approccio: il rapporto umano con le persone.
Quali sono i personaggi storici che hanno lasciato un segno non solo sulla redazione ma anche sulla storia del territorio?
Anche qui,sarebbe ingeneroso fare un nome dimenticando gli altri. Ne citerò allora solo due:Umberto V. Cavassa,storico direttore del Secolo XIX (rimase al timone per 23 anni), chiavarese di adozione, grande giornalista e grande narratore, e Federico Canale, chedetiene il primato - certamente imbattibile - di durata come responsabile della redazione: 16 anni consecutivi,dal 1976 al 1992, senza contare un precedente periodo di reggenza.Entrambi vecchi liberali, esempi disignorilità edi rigore morale,con la loro autorevolezza ci hanno insegnato (senza mai salire in cattedra) i valori dell'indipendenza e della libertà, il rispetto assoluto nei confronti della verità. E dei lettori.
A fare la differenza in fondo sono sempre le persone, quali valori permeano il vostro staff e il rapporto con la gente e le istituzioni?
Dietro ogni notizia, dietro ogni fatto c'èuna persona: non dobbiamo dimenticarlo mai.Capita, a volte, che riferire un episodio (magari di "nera") sia particolarmente doloroso:anche il peggior criminaleharelazioni, legami, affetti e un articolo,inevitabilmente, finisce per ferire anche chi non ha nessuna colpa, che diventa a sua volta vittima. Credo che la differenza la faccia il "modo" in cui si racconta una storia. L'approccio deve essere sempre responsabile, laico,corretto. Per le istituzioni c'è il rispetto dovuto al sangue versato da quella generazione di giovani che ce le restituì libere e democratiche: ma proprio per questo il giornale, in piena autonomia, deve esercitare la sua funzione di controllo, verifica, stimolo e critica. Se non lo facesse, abdicherebbe al suo ruolo.
A proposito di valori, spesso non se ne comprende l’impatto pratico ma i valori sono “orientatori di azioni”, ossia spingono le persone a fare (e sottolineo fare) determinate cose piuttosto che altre: ora che siamo di fronte a una revisione epocale sia a livello economico-produttivo sia nel tessuto sociale si può realmente cogliere l’opportunità per cambiare vecchi schemi che si sono rivelati non solo fallimentari ma anche distruttivi; quali sono i valori che devono cambiare?
I perodi di crisipossono essere anche un'occasione. Sono una fase di passaggio, di trasformazione. Un grandepensatore del passato scrisse che "c'è, nella peggiore sventura, la più felice opportunità di cambiamento". Non so se ci siano valori da buttare: ciascuno ha i propri. Personalmente, non credo si possa rinunciare all'etica della responsabilità, nel lavoro come negli altri ambiti della vita sociale. I vecchi schemi sì, quelli bisognerebbe cambiarli: la rendita con l'intrapresa, la speculazione con l'investimento, la logica dell'individualismo e dell'egoismo con il senso del bene comune e dell'accoglienza. Aggiungerei anche un pizzico di utopia che aiuta a vedereun po' più lontano.Ma per tutto questo ci sono i giovani: com'è sempre accaduto, saranno loro a cambiare il profilo della nostra società. Credo, spero, in meglio.
Sul vostro speciale per il 50° c’è una foto che mi ha colpito molto, ossia quella del cotonificio Olcese di Lavagna dove lavoravano ben 1100 persone, numeri che oggi sono lontani anni luce; come si potrebbe tornare a quel tipo di aziende? Il tunnel, i distretti, un nuovo turismo, un salto generazionale…?
Non penso che si tornerà mai aquelle cifre. La grande industria è al tramonto,in Riviera tra le grande aziende ha retto solo Fincantieri. Il problema non è la riconversione, è come la si compie. Se si punta sul turismo, tutti dovrebbero muoversi di conseguenza. L'impressione è che sia mancata una visione d'insieme strategica: che tipo di sistema vogliamo essere, con quali strutture e peculiarità? Non si può investire sulla balneazione con questi depuratori, né "vendere" la costa dimenticando le vallate. Anche qui, un problema di mentalità: credo sia giunto il tempo di un cambio generazionale profondo. Nuove teste, nuovo spirito. L'esempio della Fontanabuona è illuminante: è bastato un sindaco giovane, Marco Limoncini di Cicagna, per compiere il piccolo miracolo di veder abbattere campanilismi atavici e steccati politici che si ritenevano invalicabili. Il risultato è che, per la prima volta, del tunnel si parla in termini concreti, di fattibilità.
A noi piace vedere il lato positivo, in questo momento difficile vedete delle energie nuove che stanno emergendo e che in qualche modo contribuiscono a modificare il modo di vedere e fare le cose?
L'ho appena detto: ci sono esempi di giovani che aspettano il loro turno e che devono avere più spazio.Se il più grande Paese del mondo,nel momento di peggior crisi,ha avuto il coraggio di affidarsi a un uomo di 47 anni, non si capisce perché qui non si possa fare lo stesso. Laddovesubentrano energie nuove si nota un cambiamento: a Chiavari, il Civguidato da un quarantenne sta compiendo una piccola rivoluzione,cambiando la mentalità dei commercianti. E una giovane donna alla guida del Gruppo territoriale di Confindustria sta dando una risposta forte a una contingenza difficile per il nostro territorio. Oggi il mondo corre alla velocità della luce: nonè più possibile ragionare con le vecchie logiche.
Oggi vendere un giornale è molto difficile, qual è il valore aggiunto del Secolo per cui ha senso che una persona non vi rinunci?
Il Secolo XIX "è" questo territorio. C'è, da sempre, una sovrapposizione totale tra il Levante e il suo quotidiano. Rinunciarvi sarebbe come gettare nel cestino dei rifiuti la propria carta d'identità.
Michela De Rosa
I RICORDI DEI COLLABORATORI DEL CORRIERE DELLA FONTANABUONA E DEL LEVANTE, STORICI INVIATI DEL SECOLO XIX
Eugenio Ghilarducci di Bargagli, giornalista del Secolo dal 69 al 93 e poi corrispondente fino al 98: “Ricordo quando i pezzi si trasmettevano via dimafono: alle ore 15 precise di ogni giorno dovevo trasmettere l’articolo via telefono a un registratore – il dimafono appunto - e poi i dimafonisti lo trascrivevano!”
Vittorio Rosasco di Gattorna, corrispondente del Secolo Levante dal 1955 al 72: “I mezzi di trasporto e di comunicazione erano inesistenti o quasi, quindi era un lavoro davvero difficile e faticoso, tanto che Cesarini Sforza mi scrisse ‘voi siete la linfa vitale del giornale’.” Nella foto la tessera con la firma dell’allora direttore Umberto Cavassa.
Renato Lagomarsino di Calvari, corrispondente dal 1947 al 77: “Ricordo quando non esisteva la redazione chiavarese e dovevo fare le corse in bicicletta per portare in stazione a Chiavari la busta fuori sacco al cosidetto ambulante postale che l’avrebbe consegnata al commesso della redazione genovese. Vorrei ricordare Amedeo Massari, persona lungimirante , a cui dobbiamo l’apertura della redazione chiavarese che è stata la prima provinciale”.
I commenti dei lettori
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