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attualità
01 Marzo 2009 | in categoria/e attualita
Le Università facili aprono un futuro difficile - Intanto il Festival della Scienza approda nel Tigullio per stimolare la crescita culturale
Da qualche giorno si è conclusa a Lavagna una mostra sui materiali e le loro caratteristiche chimico-fisiche. Si tratta di una manifestazione rivolta soprattutto, ma non solo, a bambini e adolescenti, e nasce nell’alveo del Festival della Scienza di Genova (suddivisa in più appuntamenti fino alla fine di aprile). E’ un evento importante: serve, infatti, a sollecitare l’interesse di giovani e giovanissimi per le materie scientifiche, vere e proprie cenerentole dell’università italiana. I meccanismi perversi del nostro sistema educativo e, in particolare, il valore legale del titolo di studio inducono molti ragazzi a perseguire la laurea solo per avere un pezzo di carta. Questo li spinge verso le facoltà e i corsi ritenuti “facili” (spesso a torto), e induce questi ultimi – in virtù delle modalità di finanziamento – ad ammorbidire i criteri di valutazione o, comunque, creare delle nicchie di comodità per gli studenti svogliati, anche se molti di questi non arriveranno mai alla fine. Tale contesto deprime la qualità dell’insegnamento universitario, fa sì che ogni anno vengano sfornati migliaia di candidati alla disoccupazione, e illude intere generazioni col miraggio di un titolo facile e inutile. Questo senso di frustrazione e inutilità contribuisce anche a rendere l’università italiana meno appetibile per i cervelli più brillanti, che infatti non di rado scappano all’estero. Per converso, la selezione del corpo docenti segue sovente logiche che hanno poco a che fare con la meritocrazia. La ragione, come spiega l’economista bocconiano Roberto Perotti nel suo libro “L’università truccata”, sta nella “mancanza di incentivi e disincentivi appropriati. Nell’università italiana nessuno viene premiato se ha successo nella ricerca e nell’insegnamento, e nessuno paga se opera male”. L’università ha dei costi di ingresso molto alti, perché la porta è stretta e tutto viene filtrato attraverso concorsi che, nella maggioranza dei casi, sono pilotati. Ciò non significa che si compiano, generalmente, atti illeciti: per quanto impersonale e astratto, in un concorso c’è sempre una componente umana che è inevitabile e non è neppure desiderabile abolire. Quindi, il candidato somaro ma ben ammanigliato non deve far altro che aspettare che il babbo o la zia riescano a farlo giudicare da una commissione compiacente – magari dietro la promessa di restituire il favore ai commissari non appena necessario, oppure perché stanno già passando all’incasso. Dopo di che, la strada è in discesa: nessuno può tagliare l’insegnante incapace o lo studioso dormiglione, e nessuno può chiamare a risponderne chi gli ha dato un posto. La carriera non procede per merito, ma per anzianità. Il numero di pubblicazioni, la capacità affabulatoria, la profondità della riflessione scientifica sono marginali. Per giunta, è anomala l’evoluzione di redditi e carriere: il giovane, per quanto entusiasta e competente, prende quattro spicci, il vecchio incartapecorito che non legge da vent’anni e non scrive da trenta gode di un trattamento privilegiato. Cosa c’entra questo con la cultura scientifica? Apparentemente poco, ma di fatto molto. Se l’università fosse retta da principi davvero orientati verso la valorizzazione dei meritevoli (all’interno) e avesse come obiettivo (verso l’esterno) formare professionalità che possano trovare una posizione nel mondo del lavoro, il paese intero ne guadagnerebbe. Per ottenere tutto questo ci vogliono ampie e coraggiose riforme. Ma intanto, sollecitare un po’ di curiosità scientifica nei futuri “clienti” dell’università è un buon primo passo.
Carlo Stagnaro
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di Giansandro Rosasco
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